Ho lavorato in ufficio per i primi anni della mia vita professionale, con alterne soddisfazioni e non senza fatica. Da molto tempo, un po’ per scelta e un po’ per mancanza di alternative concrete, sono però una delle migliaia di donne (nel frattempo divenuta madre) che in Italia lavorano a partita Iva dal computer di casa propria. Da quando sono nati Davide e Flavia, lavoro sostanzialmente part time, con un fatturato che inesorabilmente si è ridotto, certi anni in modo molto sensibile, rispetto a qualche tempo fa. Sono ben consapevole, e molto grata, dei vantaggi che la mia condizione comporta: da un lato godo di ampia flessibilità su orari e modalità di lavoro, il che è una manna per la gestione dei figli, ma allo stesso tempo mi sento professionalmente attiva, contribuisco al bilancio familiare, trasmetto ai miei figli il messaggio per me molto importante che “anche mamma lavora”. Da ben prima di essere madre credevo che durante l’infanzia dei figli servisse una presenza (materna o paterna non conta) di quantità, oltre che di qualità, e vivo come un privilegio il fatto di poterla garantire a Davide e Flavia.
Lavorare da casa, però, non è sempre una pacchia. Specie in un contesto come quello italiano (e meridionale ancor più) in cui il telelavoro non è ancora un’opzione diffusa, conosciuta e in un certo senso “rispettata”. Ci sono quindi diverse cose che invidio alle madri lavoratrici dipendenti. E sono queste:
1. Lo stipendio fisso
La più banale, la più materiale, delle cose che invidio alle madri che lavorano in ufficio. La certezza dei propri guadagni, la loro periodicità fissa, magari (ma non è scontato) anche la loro decenza quantitativa. Tutte cose che non valgono per me. Per me che sto sempre lì a sentirmi inadeguata quando mio marito incassa il suo stipendio sicuro. Per me che devo sempre chiedermi se e quanto fatturerò il prossimo semestre. Per me che evito di pagare qualcuno che pulisca casa, perché sento di non guadagnare abbastanza e di “doverlo fare da me”, che in questa casa ci passo così tante ore.
2. La considerazione degli altri
Inutile girarci intorno: il lavoro a partita Iva, per giunta portato avanti alla scivania di casa propria, raramente è considerato da chi ha un impiego dipendente come “un lavoro vero e proprio”. Spesso è inteso alla stregua di un hobby per mogli annoiate, di una passione personale, di qualcosa da fare per riempire le giornate. Di qualcosa che tutto sommato puoi procrastinare, rimandare, che non richiede alcuno sforzo anche se hai un neonato urlante, se hai la febbre alta, se hai i figli a casa da scuola. Se sei una madre che va (con piacere) a prendere di persona suo figlio a scuola perché hai un lavoro autonomo, finisci in qualche modo col venire registrata dagli altri come “una madre che non lavora”.
3. La pausa pranzo
Che io non ho mai avuto. Prima perché, stando sola, mi limitavo a ingurgitare qualcosa di indegno davanti al computer (tanto che ho preso una decina di chili, da quando lavoro da casa). Poi perché ho smesso quasi sempre di farla (tanto che li ho persi quasi tutti, quei dieci chili di troppo). Adesso perché, non essendoci il tempo pieno alla scuola primaria, investo quel tempo per preparare il pranzo a mio figlio. E sarà così per i prossimi dieci anni e oltre.
4. La vita sociale
Perché, per quanto l’ambiente di lavoro possa essere ostile o poco stimolante, rappresenta comunque una occasione di socialità. Offre il tempo e lo spazio per interagire con persone adulte, estranee alla famiglia, di condividere con altri una parte importante del proprio quotidiano. Nel bene e nel male. Perché offre anche una certa quota di momenti di pausa (per una caffè, una chiacchiera, un boccone al volo, ma anche per una lettura in metropolitana) e, si è bravi e fortunati, anche l’opportunità di belle amicizie.
5. La compartimentazione dei ruoli
Se lavori con un orario fisso, di solito, è più facile compartimentare la tua giornata. C’è il tempo per lavorare e quello, appunto, per fare tutto il resto. Ma se sei un lavoratore autonomo, se il luogo in cui lavori è lo stesso in cui vivi (e che devi tenere pulito e ordinato) e magari non sei sempre molto disciplinato, tutto rischia di diventare fluido e confuso. Hai il grande privilegio di poterti organizzare in modo da avere una mezza giornata libera, o di andare in palestra al mattino, ma ti confronti anche con la sensazione perenne di non “staccare mai”. E con il rischio concreto di sentirti sopraffatto dalle incombenze di diversa natura che fanno capolino alle tue spalle mentre siedi al computer.
6. Il rispetto dei figli
Questa, in effetti, è più che altro una mia paranoia. Ho paura che i miei figli, vista la considerazione generale del telelavoro, finiranno col ritenermi una “fallita” rispetto al loro papà e anche rispetto alle madri con un impiego più canonico. Una che in realtà non ha lavorato “davvero”.
7. Non essere “scontata” per i figli
Se sei il genitore che passa molto tempo coi suoi figli, che li segue nei compiti, che li accompagna alle attività pomeridiane, che li porta quasi sempre dal pediatra e serve loro il pranzo ogni giorno o quasi, finisci forse col diventare una presenza ordinaria e scontata. Una che tanto c’è sempre, ed è ovvio che ci sia. Non come il papà (in questo caso), che diviene l’affetto da desiderare, l’imprevisto gradito, la sorpresa dei giorni speciali.
Credo che, anche avendone l’opportunità, al momento non cambierei il mio lavoro autonomo con un impiego dipendente a tempo pieno. La libertà di passare tanto tempo coi miei figli, la flessibilità di fronteggiare emergenze, imprevisti e chiusure scolastiche senza dover chiedere aiuto ad altri né dover investire dei soldi, mi sembrano come ho già detto una grande fortuna. Se diventasse l’unico modo per lavorare, o se fosse economicamente indispensabile, ovviamente lo farei. Ma finché posso farne a meno, cercherò di realizzarmi come sto facendo, in modo personale e autonomo, magari provando a incrementare l’attività man mano che i figli cresceranno. Eppure non è facile. Perché nessuna condizione lo è. Nessuna situazione è perfetta, nessuna vita è priva di pieghe e pozze di oscurità.