Per tutte le volte in cui gli dico: “Dai, tu sei grande”, e lui sta pensando che non è vero, o, se non lo sta pensando, dovrebbe farlo eccome. Perché a 4 anni nessuno può essere considerato grande solo perché ha una sorella minore.
Perché alla fine è sempre lui quello che mi dà una mano a riordinare la cameretta, a spingere il passeggino vuoto, a portare i sacchetti della spesa. Mentre sua sorella viene quasi sempre esentata, compresa, giustificata. Soltanto perché lei “è ancora piccola”.
Perché ho smesso di allattarlo quando forse non era pronto, solo perché pochi mesi dopo sarebbe nata sua sorella, e io non avevo voglia di dare il mio latte a tutti e due.
Perché quando si contendono un gioco è quasi sempre lui che cede. Costretto a farlo dalla consapevolezza di essere, dei due, quello “grande”. Piange, si dispera, si innervosisce. Ma si arrende alla sensazione che da lui ci si aspetti in qualche modo più pazienza, comprensione, flessibilità. Anche se, in realtà, è ancora un bambino piccolo.
Perché a volte non riesco a evitare di chiedergli di dare un’occhiata a sua sorella. Di controllare che non salti sul divano, o che metta in bocca un oggetto pericoloso. Non dovrei farlo, perché so di gettare sulle sue esili spalle un senso di responsabilità che non sono pronte a sostenere. Eppure ogni tanto succede, perché sono distratta dalla frenesia quotidiana, o fiaccata dalla cronica stanchezza. Succede, e lui si trova a gestire un impegno troppo gravoso per la sua tenera età.
Perché ha dovuto imparare ben presto a fare tante cose da solo, obbligato da una ineluttabile scala di priorità e dal tempo che non basta mai.
Per tutte le volte in cui, più o meno espressamente, gli chiedo una ragionevolezza che non può ancora avere, e un livello di giudizio che non appartiene alla sua età. Per quando imploro la sua pazienza, negandogli un diritto fondamentale di ogni bambino piccolo. Quello alla fretta, all’egocentrismo e all’insofferenza. Perché all’età che ha adesso la sua sorellina, io ho dovuto obbligare i miei occhi a vedere in lui un bambino “grande”. Anche se portava ancora il pannolino, anche se ancora non parlava. Perché da quando è nata Flavia io combatto tutti i giorni con la tentazione di considerarlo per quello che non è: un figlio già cresciuto, un bambino che non è più piccolo.
Invece lui è solo un fratello maggiore. Il mio piccolo, piccolissimo figlio primogenito.