Mi capita spesso, da quando sono madre e per giunta blogger, di leggere post in cui si discute del cosiddetto “alto contatto”. Da una parte le fautrici di questa filosofia di “maternage” (fascia, cosleeping, allattamento prolungato etc), dall’altra quelle che in qualche modo si professano scettiche, se non addirittura sarcastiche. Chi è d’accordo e chi non lo è, chi promuove e chi smonta, chi millanta e chi ironizza.
Quello che sfugge, di solito, a chi scrive questi commenti sull’alto contatto, è un particolare che a me sembra invece importantissimo. Cruciale, oserei dire. E cioè che in molti casi non è la madre a scegliere. Non sono i genitori a decidere. Di solito, almeno per l’esperienza mia e di tante famiglie che conosco, quella del cosiddetto “alto contatto” è una esigenza specifica del bambino. Una sua scelta. Quello che resta appannaggio degli adulti è solo decidere se assecondare questa richiesta – e in che misura farlo – o meno, aspettando, in un certo senso, che il piccolo “si rassegni” e rinunci, per così dire, ad aspettarsi certe cose e a chiederle con ogni mezzo.
Mi spiego meglio: se mio figlio, da neonato, fosse riuscito ad addormentarsi senza tenermi la mano o un dito, non mi sarebbe mai venuto in mente di essere io a prendergli la manina di mia iniziativa. Se la mia secondogenita fosse stata serena e tranquilla nella sua carrozzina, io ce l’avrei lasciata volentieri (riservando magari la fascia o il marsupio a situazioni particolari come i viaggi, le escursioni, le passeggiate più impegnative). Se lei avesse dormito placida dentro una culla, o anche semplicemente sul letto, non avrei avuto proprio nulla in contrario a metterla a dormire in un posto diverso dalle mie braccia o dal mio petto. Ma invece, ed è proprio questo il punto, entrambi i miei figli (anche se in misura diversa e con modalità distinte) hanno mostrato sempre un bisogno profondo di contatto fisico, presenza, vicinanza, contenimento. E, in modi diversi, lo fanno ancora adesso che sono relativamente cresciuti.
Avrei potuto scegliere di non rispondere a queste loro richieste, certo. Probabilmente, dopo alcune – poche, tante o tantissime? – notti di pianto si sarebbero abituati anche a dormire da soli, a non stare in braccio né in fascia. La mia decisione è stata quella di assecondare la loro natura, di rispondere in modo affermativo a quella che era una evidente necessità soggettiva di Davide prima e di Flavia poi. In questo senso, è vero, l’alto contatto è stata comunque una “mia scelta”. Ma si tratta di un percorso che non ho imboccato per partito preso, sulla base di un principio o di una considerazione aprioristica. Mi ci hanno condotto i miei figli. Se loro fossero stati diversi, sarei stata a mia volta una madre diversa.