L’allattamento al seno, ormai lo sapete, è la scelta che ho fatto per e con i miei figli. Una scelta convinta e ponderata, che rifarei senza esitazione per tanti motivi diversi, non ultimo il fatto che il latte materno non costa nulla e che ha impatto zero sull’ambiente. Non è stato facile, all’inizio. La montata lattea che si è fatta attendere per 4 giorni, Davide che si rifiutava ostinatamente di attaccarsi, il dolore, i pianti, l’angoscia crescente. Poi tanta ostinazione, qualche aiuto prezioso, e ho finito con l’allattare mio figlio per quasi un anno e mezzo. Ho scelto io quando smettere (ero incinta di 5 mesi), ho potuto farlo con estrema gradualità e senza traumi, utilizzando il ciuccio come surrogato e aiuto indispensabile.
Poi è nata Flavia, che si è attaccata al seno come se non avesse fatto altro per i precedenti 10 anni. Il latte è arrivato nel giro di qualche ora (del resto, avevo appena smesso di allattare il fratello), zero dolori, zero problemi.
Da quel momento sono passati quasi due anni, e credevo che superati i primi mesi estenuanti, quelli dei risvegli continui e delle poppate infinite, sarebbe stato tutto relativamente facile. Non mi ponevo neanche il problema di quando e come avrei smesso, immaginavo un distacco graduale e abbastanza veloce (per quanto non del tutto indolore) come mi era accaduto col mio primogenito. Ad allattamento avviato ho provato per qualche mese a offrire dei succhietti a mia figlia, che però non ne ha mai voluto sapere. Non sono stata lì a pensarci più di tanto e siamo andate avanti. Poppate a richiesta, autosvezzamento – visto che ha odiato le pappe – e via.
Allora non immaginavo che la vera stanchezza sarebbe arrivata col tempo. Non potevo sapere che non avrei dormito più di tre ore di fila per almeno i 22 mesi successivi (che è, giorno più, giorno meno, il tempo passato dalla nascita di Flavia a oggi). Ignoravo che, dopo una fase di parziale perdita di interesse per il seno, le richieste sarebbero diventate di nuovo frequenti e molto insistenti. Che anche a distanza di due anni mia figlia avrebbe avuto disperatamente bisogno di me, e del mio corpo, per riuscire ad addormentarsi. Non credevo che sarei arrivata a sentirmi talmente prostrata, e in un certo senso affranta da questa cronica e prolungata condizione di “insostituibilità”. Non mi aspettavo che sarei arrivata a piangere, a urlare, a implorare una tregua. Che avrei cercato in tutti i modi di convincere mia figlia a mollare il mio seno. Invano, a tutt’ora, perché nonostante abbia seguito i consigli delle consulenti per smettere di allattare, la sua reazione è sempre talmente disperata da farmi stringere i denti e semplicemente continuare a “concedermi”. Non potevo prevedere che in certi momenti l’allattamento avrebbe smesso di essere una esperienza di tenerezza e complicità, per diventare una fatica indicibile. Un gesto, più che di amore, di sacrificio per il benessere del proprio figlio.
Perché la verità è che quando si parla di allattamento prolungato non si racconta mai, o quasi, il lato oscuro di una scelta così impegnativa. Si riferiscono i benefici per la salute psicofisica del bambino, le raccomandazioni ufficiali, i vantaggi pratici legati, ad esempio, alla gestione dei risvegli notturni. Ma è raro che si faccia notare quanto un’esperienza tanto coinvolgente possa essere impegnativa per la mamma, specie se non ha un solo figlio e se lavora. Ammettere di essere stremate, di voler smettere anche se tuo figlio non vuole saperne, di desiderare una tregua, è difficile. Hai paura di essere giudicata egoista dalle madri che sono favorevoli all’allattamento a termine e patetica da quelle che non hanno allattato, o che lo hanno fatto per pochi mesi. Sai che le prime potrebbero biasimarti perché non riesci ad andare fino in fondo, e le seconde compatirti perché “hai viziato tuo figlio” e adesso sono cavoli tuoi.
Ho pensato a lungo se scrivere o meno questo post. Il rischio di essere fraintesa esiste e ne sono consapevole. Ma credo che sia giusto, nel testimoniare una lunga esperienza di mamma che allatta, sottolineare anche questo aspetto. Non è detto che sia così per tutte le mamme e per tutti i bambini, ma esiste la possibilità che vi stanchiate prima che i vostri figli siano pronti a staccarsi definitivamente dal seno. Esiste la possibilità che un bimbo allattato sempre a richiesta e in modo prolungato, senza ciuccio o biberon, finisca con l’avere disperatamente bisogno di sua madre per addormentarsi, o per riaddormentarsi ogni volta che si sveglia di notte, e questo può condizionare pesantemente il menage familiare, tanto più se ci sono altri figli da gestire. Non sto affatto dicendo che questa sia la regola, ma può succedere. Per mia figlia, ad esempio, è tuttora così, nonostante abbia quasi due anni, vada all’asilo abbia un rapporto profondissimo con suo padre, che è sempre stato intercambiabile con me per tutto quello che non è l’allattamento: per dormire, di sera e di notte, ci vuole sempre la mamma, altrimenti sono tragedie apocalittiche. E questo, per una donna che per giunta lavora, può diventare davvero gravoso. Imbarazzante, quando devi spiegare che non puoi assentarti di sera o di notte (e gli altri danno per scontato che il padre dei tuoi figli sia uno di quegli uomini disinteressati e assenti). Problematico, quando avresti bisogno di quelle ore serali o notturne per lavorare. Devastante, quando semplicemente avresti bisogno di una notte di sonno per riprenderti dalla stanchezza che non passa più.
Credo anche che sia giusto ammettere che, se allattare semplifica la gestione dei risvegli notturni, può anche in qualche modo incentivarli, in un loop che può durare anni. Anche in questo caso, non esistono certezze: ci sono bambini allattati che a pochi mesi dormono una notte filata, e piccoli che prendono il biberon ma si svegliano lo stesso. Ma la mia esperienza, e il confronto con tantissime madri, tende a farmi dire che in qualche caso il bisogno del seno condiziona “negativamente” anche i ritmi sonno/veglia, ritardando il momento in cui, finalmente, si riuscirà a dormire per almeno 6 ore consecutive.
Al di là della questione strettamente nutritiva, allattare al seno è un’esperienza umana di portata colossale. Nel bene e nel male. Io non saprei immaginarmi madre in modo diverso, e se avessi altri 10 figli rifarei con loro le stesse scelte che ho fatto in passato. Ma è necessario che una neomamma sia consapevole anche di questo, per poter fare le sue scelte in totale coscienza e libertà: allattare o meno, farlo o meno a richiesta, introdurre o meno biberon o succhietti. Per non trovarsi poi del tutto impreparata di fronte alle sue stesse emozioni. Come è successo a me, che da almeno due mesi sono lacerata dalla fatica, dal senso di colpa, dalla difficoltà di gestire sensazioni così contraddittorie e inconciliabili. E dalla vergogna di raccontarle, che non mi abbandona neanche in questo momento.
Non suggerisco niente a nessuna, e non sono pentita di aver scelto di allattare a lungo. Voglio che questo sia chiaro come il sole. Ma ciò non vuol dire che l’allattamento prolungato sia una scelta facile – o “comoda”, o addirittura egoista, come ho letto spesso qua e là – e sento che dirlo a chiare lettere può far bene a tante mamme che allattano, che allatteranno o che non lo hanno fatto (sappiate che le difficoltà, i giudizi e i rimorsi ci sono per tutte, invariabilmente!). E forse, magari, un pochino anche a me.