Storia di un bambino con le coliche e dei tre mesi più lunghi della mia vita
Immaginate una sirena assordante che ulula senza sosta giorno e notte. Uaaaaaaaaaa. Uaaaaaa. Per settimane. Dentro casa vostra. Uaaaaaa. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Immaginate che tutti si aspettino che siate voi a zittire quel suono incessante, ma che in realtà non possiate fare assolutamente nulla per metterlo a tacere. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Uaaaaaaaa. Immaginate che quella sirena sia in realtà un disperato grido di dolore proveniente da vostro figlio appena nato, che provochi conati di vomito, raucedine, sudori freddi e un’ernia ombelicale grande quanto un ovetto di cioccolata. Uaaaaaaaaaa. E che voi siate una puerpera di fresco cesarizzata (o episiotomizzata, cambia poco), con i seni dolenti e gli ormoni fuori controllo, e che ogni volta che vostro figlio piange l’ossitocina che avete in corpo vi faccia contrarre dolorosamente l’utero e le mammelle, inondando la vostra biancheria intima di umori imbarazzanti di varia natura. Immaginate che il vostro cervello, già a corto di sonno e di zuccheri da ossidare, finisca col sentire quel pianto insopportabile anche quando gli dei dell’Olimpo concedono a vostro figlio – e a voi – un’ora di requie. Immaginate. Fatto? Bene.
Ora immaginate una situazione dieci volte più angosciante di quella che avete appena immaginato: inizierete a capire vagamente cosa significhi avere a che fare con un bambino affetto dal disturbo che qualche buontempone evidentemente senza figli ha classificato come “colichette gassose del neonato”. Nessuno si sognerebbe di dire «Ho le emorroidine a grappoletti», o di raccontare che sua zia soffre di «fuocherello di Sant’Antonino», allora non vedo perché una roba così straziante vada chiamata “colichette”. E poi, a parte il Napalm e il Zyklon B, dubito che un gas possa realmente provocare tanta sofferenza. Neanche Al Gore quando pensa all’anidride carbonica si sente afflitto in modo così irrimediabile. Per dirla tutta, io non sono neanche convinta che lo psicodramma che abbiamo vissuto nei primi tre mesi di vita di BigD sia legato davvero a un qualche feroce mal di pancia. Secondo me i pianti e la disperazione c’entrano maggiormente con la fatica di adattarsi a una vita extrauterina cui si arriva sempre impreparati, oltre che alla tremenda ingiustizia della difficoltà di comunicazione che si instaura quasi inevitabilmente tra una donna e il bambino che fino a poco fa abitava nel suo ventre.
Ma tant’è. Le chiameremo coliche gassose perché così la maggioranza dei pediatri le definisce, pur ammettendo che le cause del “fenomeno” restano sostanzialmente sconosciute. Come fare a capire se siete tra i fortunati che dovranno affrontare il problema? Di solito iniziate a sospettarlo perché il vostro fagottino, che – a parte lo sguardo vacuo, la peluria sulle orecchie e una vaga somiglianza con la prozia Mariuccia – sembrava normale fino al giorno prima, a qualche settimana dalla nascita inizia a dilettarvi con crisi improvvise di pianto, forte e prolungato, che possono durare anche diverse ore. Oltre a urlare a più non posso, in genere la povera creatura stringe i pugni, porta le gambe al petto, serra gli occhi e spinge la punta della lingua verso l’alto, come una lucertola cui un ragazzino sadico sta staccando la coda. Mio figlio, come ho anticipato, si ricopriva di sudore ghiacciato, tentava di cavarsi gli occhi con le unghie che non sapevo ancora tagliargli (non che ora sia esperta in manicure neonatale, eh…) e attraversava vere e proprie crisi di apnea. In teoria, gli attacchi sono più frequenti nelle ore serali, ma – esperienza personale – possono presentarsi in qualunque momento della giornata, senza alcun preavviso.
La cattiva notizia (perché ce ne sono anche di buone, ma ve le dico alla fine) è che una cura vera e propria non esiste. Anzi, nel caso di BigD i farmaci si sono rivelati del tutto inefficaci, nonostante si trattasse di sostanze che sulla carta avrebbero potuto stroncare un toro (gocce a base di bromuro, per dire). Esiste però una certa “letteratura” di rimedi naturali per le coliche del neonato. Che magari sugli altri bambini possono sortire qualche effetto degno di questo nome. Per prima cosa, si può tentare di intervenire sull’alimentazione del bambino. Ai bambini nutriti col latte artificiale si possono somministrare dei tipi di latte formulati appositamente per ridurre la formazione di gas intestinali. Sull’efficacia di questi latti speciali ne so davvero poco, perché BigD è sempre stato allattato esclusivamente al seno. Ragione per cui ho eliminato dalla mia dieta un numero sempre maggiore di alimenti, dai latticini ai legumi, dal cioccolato alle verdure a foglia larga. Davide ha continuato a disperarsi (perché in realtà non ci sono evidenze scientifiche del legame tra dieta materna e mal di pancia del bebè), ma almeno io ho perso i chili della gravidanza.
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