Il parto di mio figlio non è andato esattamente come speravo che andasse. Niente di grave, per carità. Medici all’altezza della situazione, tutto nella norma e nessuna emergenza. Ma io, sarà che con la natura ci vado a nozze, speravo davvero di avere un parto naturale. Vaginale, per dirla con un termine più esplicito, ma che mi ha sempre fatto impressione (perché il fatto che ci contassi non vuol dire che la prospettiva non mi terrorizzasse letteralmente).
Speravo in un’esperienza da vivere attivamente insieme a mio figlio, piena di dolore e di fatica, ma anche di energia e concentrazione, di umori animali, di ormoni accesi e spenti in una sequenza chimica affinata in migliaia di anni di evoluzione. Qualcosa, insomma, che mi accomunasse alle altre mammifere, oltre che alle generazioni di donne che mi hanno preceduta sulla Terra. Magari senza troppi danni là sotto, ecco. Ma il meno “ospedalizzata” possibile. Per questo mi ero impegnata così tanto, al corso preparto. Mi offrivo sempre volontaria per fare le prove della “spinta in apnea” (un modo elegante per dire: “Fai come se dovessi andare di corpo”…), mi applicavo nell’allenamento per il perineo con diligenza da scolaretta e, nonostante la mia silhouette da cetaceo, cercavo finanche di fare quell’esercizio terribile in cui dovevi roteare le gambe dopo averle sollevate a candela.
Fatica inutile, purtroppo. Dopo una notte intera – e oltre 8 centimetri – di travaglio, BigD ha smarrito la strada, si è perso nei meandri del mio canale del parto e ha cominciato a farla lui, troppa fatica. Il suo cuore ha accelerato troppo e la sua testa non è riuscita a infilarsi lì dove si infilano di solito le teste degli umani quando vengono al mondo. Morale: un bel taglio sul basso ventre e una cicatrice a imperitura memoria (come se servisse, tra l’altro). Cesareo. Nessuna complicazione eclatante, a parte una odiosa cefalea post-anestesia spinale durata oltre una settimana (capita al 5-10% dei pazienti, mi dicono. Fortunella!). Figlio sanissimo, allattamento avviato senza effettivi problemi. E non ancora concluso, tra le altre cose. Però… Però.
Sarà che la fase “migliore” del travaglio, ormai, me l’ero goduta fino in fondo ( “Che peccato, signora – mi disse l’ostetrica – Le mancava la parte più liberatoria, quella delle spinte”), sarà che ricordo bene la sofferenza di mia madre nel raccontarmi il suo, di parto cesareo: l’anestesia totale, la lunga cicatrice verticale a tagliarle l’addome, il risveglio lento e, soprattutto, l’impossibilità di vedermi subito, di toccarmi, di allattarmi (allora andava così). Sarà, ma io quel taglio sopra il pube l’ho vissuto come una piccola mutilazione. Non credo si sia trattato di un “eccesso di prudenza” da parte dei medici, né penso che avrei potuto fare qualcosa per impedire quello che alla fine è accaduto (ero brava, nelle spinte, io!), gli imprevisti capitano e l’intervento è stato necessario, d’accordo. Ma una parte di me non si rassegnerà mai al fatto che Davide mi sia stato strappato dal ventre. Avrei dovuto essere io, con il colpo di reni più importante della mia vita, a spingerlo nel mondo.
Di cesareo, imprevisti e natura parlo nel mio post mensile per il sito Instamamme.net.