Avere Davide nella pancia non è stato per niente facile. O meglio, fisicamente è stato un gioco da ragazzi: quasi zero nausea, pochi chili accumulati, nessuna complicazione dall’inizio alla fine. Ma sul piano emotivo e psicologico ricordo un vero calvario, per tante ragioni che adesso non è il caso di elencare. Una cosa però la voglio dire, e senza mezzi termini. La retorica che circondava l’esperienza della maternità era stata per me insopportabile. Sembrava che nessun’altra, prima di me, avesse avuto paura. Che fossi io la prima gestante a doversi cimentare con sentimenti ambivalenti. Col dubbio, con la tristezza. Addirittura, nei momenti più bui, col ripensamento. Tutti a ripetere che la maternità “è la cosa più bella del mondo” e che certi “languori” dipendevano evidentemente dai miei fisiologici sbalzi ormonali. Riconoscere che diventare genitore è la più vertiginosa delle scelte senza ritorno, ed è anche una cosa che a tratti terrorizza, sembrava un tabù inviolabile. Se ho cominciato a scrivere un blog è stato anche per questo. Sul web, certe verità erano già allora meno inconfessabili. Forse perché la rete azzera le distanze, e in uscire dal mio contesto provinciale e molto tradizionalista è stato di grande aiuto. Oppure perché l’anonimato favorisce in qualche modo la sincerità. Incoraggia a esporsi senza il timore del giudizio altrui. Il web, per certi versi, mi ha salvato la vita.
Solo che da allora sono passati alcuni anni – e centinaia di blogger, editoriali e post sul tema – e mi sembra ogni giorno di più di avere a che fare con l’esagerazione opposta. Non solo è diventato cool dichiararsi una madre degenere (che ovviamente non vuol dire esserlo, e questo è il punto), sottolineare con orgoglio quanto poco “materne” si è, ostentare di continuo le proprie presunte mancanze rispetto allo stereotipo di “brava mammina”. È anche un fiorire quotidiano di racconti al limite del deprimente (ben oltre il limite, spesso) su quanto sia pesante e faticoso fare la madre. Su quanto siano molesti, insopportabili e “ingestibili” i bambini. Tanto che a volte, lo devo confessare, mi viene da pensare che gli anticoncezionali siano molto sottovalutati.
Dalla retorica dei “piezze ‘e core” al “figlio mio ti amo, però”. Così, senza soluzione di continuità.
Io, sarà che della mediocrità ho fatto la mia bandiera personale, continuo a pensare banalmente che la verità non stia da una parte né dall’altra. I figli sono un impegno mastodontico e per la vita. Una limitazione chirurgica e permanente della propria libertà, dal punto di vista logistico ma soprattutto psicologico. I figli sono una responsabilità gigantesca, e a volte, più o meno consapevolmente, una rottura di palle immensa. Chi si rifiuta di ammetterlo mente a se stessa, prima che al resto del mondo. E non fa certo un favore alle altre madri. Potersi lamentare. Poter confessare la fatica, l’ansia, lo stress. Poter dire ad alta voce che certe volte l’unico pensiero che sopravvive alla stanchezza e alla frustrazione è un sincero “chi me lo ha fatto fare?”, dovrebbe essere un diritto garantito sempre e comunque a ogni genitore, maschio e femmina.
Però diciamo, per favore, altrettanto ad alta voce, che i figli sono anche una cosa miracolosamente bella. Senza paura di sembrare sdolcinate o troppo politicamente corrette. I figli sono divertenti. Ti fanno sorridere, commuovere, ti fanno sghignazzare. Sono le parole storpiate che ti fanno ridere all’improvviso, mandandoti il caffè di traverso e la giornata nel senso giusto. Sono gli sguardi d’amore appena svegli, incondizionati e puri (qualche volta, almeno nel mio caso, anche immeritati). Sono la capacità non solo di perdonare, ma addirittura di dimenticare, una volta, un’altra e quella dopo ancora: i nostri limiti, le giornate no, le sfuriate senza una vera ragione. Le nostre assenze. Sono le risate contagiose con le lacrime agli occhi, gli abbracci all’improvviso con le mani sudate. Sono le dichiarazioni d’amore più tenere e oneste che qualcuno ti abbia mai fatto. Sono l’orgoglio senza fine e l’intesa più irrazionale. Sono corse a perdifiato perché la vita e bella, castelli di sabbia che ci metti tutto l’impegno di cui sei capace, anche se sai che il mare, alla prossima onda, li sbriciolerà. Sono nuvole che sembrano unicorni, pozze minuscole che si travestono da oceano, avventure straordinarie nello spazio tra il divano e il tavolo del soggiorno. Sono il candore di certe domande, la meraviglia di fronte a un filo d’erba, la magia senza fine dell’innocenza.
Essere madre è faticoso come forse poche altre cose al mondo. Può essere assai frustrante o addirittura spaventoso. Può essere una noia mortale. Ma è anche bellissimo. Divertente, liberatorio, meraviglioso.