In rete se ne parla soprattutto come autosvezzamento. La dicitura più corretta sarebbe però alimentazione complementare a richiesta. In estrema sintesi, prevede che il bambino (che abbia almeno 6 mesi e sia in grado di stare seduto bene da solo) non venga nutrito con pappe preparate ad hoc, ma abbia libero accesso alla mensa di tutta la famiglia e, seguendo la sua naturale curiosità per il cibo che mangiano “i grandi”, assaggi spontaneamente quello che desidera nelle quantità che desidera. Man mano che gli assaggi si fanno più consistenti (fino a costituire un pasto vero e proprio), l’alimento principale rimane il latte, materno o artificiale, da offrire a richiesta. Le condizioni fondamentali, a parte l’età del bimbo e il suo interesse per gli alimenti solidi sono la salubrità degli alimenti portati in tavola (rispetto della “piramide alimentare” ala base della dieta mediterranea, prodotti di stagione, cotture leggere, condimenti equilibrati, poco sale) e la cautela nel proporli (i cibi possono essere schiacciati o sminuzzati, oppure, se si lascia che il bambino faccia da solo, tenendo ad esempio in mano un maccherone o della verdura, sorvegliandolo scrupolosamente).
Alla base di questa filosofia dello “svezzamento” c’è la convinzione che i bambini siano competenti, ovvero in grado di gestire in autonomia le proprie necessità nutrizionali, che il latte (specie quello materno) sia da considerarsi l’alimento principale almeno fino all’anno di età, e che la somministrazione ritardata e graduale dei cibi allergizzanti (glutine, uovo, pesce, etc) non serva a modulare la risposta del sistema immunitario né a proteggere il bimbo da eventuali rischi (alla fine del post trovate alcuni riferimenti bibliografici). La classica pappa, preparata con ingredienti industriali o fatta in casa, diviene, in quest’ottica, del tutto inutile, se non addirittura controproducente, perché frustra il desiderio naturale del bambino di imitare i genitori mangiando quello che mangiano loro, in qualche caso addirittura compromettendo l’istaurarsi di un rapporto sano e positivo con il cibo.
Quando il mio primo figlio ha compiuto sei mesi, l’autosvezzamento non mi sembrava la strada adatta a noi. Ne avevo sentito parlare, ma ero poco informata, e inoltre ero convinta che un menu ad hoc (preparato in casa senza usare baby food industriale) potesse garantire al mio vorace bambino un’alimentazione più equilibrata. Il mio primogenito, inoltre, non mostrava il minimo interesse per il cibo di mamma e papà, è rimasto sdentato fino a oltre 11 mesi, e, soprattutto, ha rifiutato ostinatamente l’assaggio di alimenti più consistenti (pane, pasta, frutta) quasi fino al suo primo compleanno. In pratica, saremmo dovuti andare avanti a forza di sola tetta per almeno 12 mesi, con un pupo che era stabilmente al 97imo percentile in peso. Un’opzione che all’epoca ho ritenuto estenuante. Tanto più che lui ha adorato le pappe, fin dal primissimo giorno. Il piatto veniva svuotato in pochi secondi, tutti gli alimenti proposti (sempre freschi e di stagione, profumati e invitanti, con consistenze diverse a seconda delle materie prime) invariabilmente graditi, gli ingredienti allergizzanti inseriti rapidamente e senza problemi. Mangiava talmente di gusto che non sporcava nulla, potevo anche non mettergli il bavaglino. Un’esperienza semplice e positiva per tutti noi.
Tra poche settimane toccherebbe a sua sorella, e io nel frattempo ho avuto modo di leggere e informarmi in fatto di autosvezzamento. L’idea di favorire l’autonomia di mia figlia mi tenta moltissimo, così come il fatto di non dover preparare un pasto specifico per lei. Quello che mi lascia perplessa, per così dire, è proprio l’esperienza positiva che ho fatto con suo fratello. Ho paura, paradossalmente, di complicare qualcosa che l’altra volta è state semplice e naturale, di privarmi di una serie di certezze molto “comode” e rassicuranti: la sicurezza di somministrare un pasto sano e nutriente, calibrando un menu settimanale perfettamente equilibrato, nessuna preoccupazione per il rischio di soffocamento, serenità generale al momento della pappa. Non vorrei, insomma, finire col perdere in serenità rispetto a quando ho introdotto gli alimenti solidi nella dieta del mio primogenito.
In attesa di parlarne anche con il pediatra e chiarire i dubbi residui, ho maturato comunque una serie di punti fermi: continuerò ad allattare Flavia a richiesta; non la forzerò in alcun modo a mangiare cose che non ha voglia di mangiare o ad assumere abitudini orarie che non le risultano naturali; le consentirò, dopo i sei mesi, assaggi di cibi che suscitano la sua curiosità, purché sani e sicuri; approfitterò per migliorare la dieta di tutta la famiglia. Accanto a tutto questo, potrei comunque proporle, a ora di pranzo o di cena, una pappa profumata fatta in casa apposta per lei. Magari la divora di gusto come suo fratello due anni fa, e io sono certa di fornirle un’alimentazione equilibrata.
Voi che esperienza avete in tema di svezzamento? I vostri figli gradivano le pappe, o le rifiutavano con disgusto? Oppure si sono autosvezzati? Mai come stavolta sono in cerca di testimonianze utili, lasciatele nei commenti o sulla pagina Facebook.
Letture consigliate:
Io mi svezzo sa solo, L. Piermarini e F. Panizon, 2008, Bonomi Edizioni
www.autosvezzamento.it