Cose che ho imparato sull’Olanda portandoci mio figlio
Due cose ricorderò, prima di tutto, di questo viaggio in Olanda con un bambino piccolo: gli uccelli migratori (l’avifauna più varia, abbondante ed evidente che abbia mai visto in vita mia e no, non mi sto riferendo al quartiere del sesso di Amsterdam) e il colore del cielo. O meglio, la sua assenza.
Sarà anche la terra della mobilità sostenibile, ma il traffico può essere infernale. E i semafori di Utrecht sono un’autentica piaga, anche quelli pedonali.
Vista la stagione, niente tulipani in giro. Ma in nessun altro posto ho mai visto tanta gente con in mano dei fiori.
Avranno anche aumentato le restrizioni sulla Cannabis, ma l’odore dell’hashish è dappertutto. Purtroppo non è bastato questo a far dormire Davide per una notte intera.
I vecchi mulini a vento, usati per secoli per macinare granaglie e produrre pigmenti destinati ai pittori di scuola olandese e fiamminga, sono pittoreschi assai. Ma quelli nuovi, che al vento continuano a rubare energia per alimentare luci al led, laptop e catene di montaggio, sono a loro volta estremamente suggestivi. Checché ne dicano alcuni paesaggisti.
Utrecht è incredibilmente sottovalutata, per lo meno dalla gente che conosco io (tra le altre cose, mai visti tanti negozi di design né tanta scelta di bei ristoranti).
Cose che ho imparato su mio figlio portandolo in Olanda
È perfettamente in grado di fare “ciao ciao” con la manina, ma solo ad umani rigorosamente selezionati. Di preferenza olandesi, biondi e con dei fiori in mano.
Ha la capacità chirurgica di esigere la tetta (BigD è uno che non chiede. Lui pretende, dal giorno in cui è venuto al mondo) nel momento e nel contesto meno indicati. Tipo in un tram affollatissimo mentre io indosso biancheria intima, t-shirt, felpa e giaccone. O sul 737 Transavia per Eindhoven, talmente stipato di seggiolini da meritarsi la piazza d’onore nella classifica degli aerei più scomodi della storia (il titolo resta saldamente nelle mani di un Cityliner che ho preso da Napoli a Torino qualche anno fa).
Quanto all’attività intestinale, le sue straordinarie doti di tempismo erano già note dalla prima passeggiata in quota fatta in Trentino l’estate scorsa.
Le pecore lo lasciano quasi indifferente. Il suo amore incondizionato appartiene solo ai felini.
È riuscito a farsi più amici lui in 9 mesi di viaggi che io e suo padre in 12 anni di vagabondaggio per l’Europa e non solo.
Le sue non sono lallazioni prive di senso. BigD si esercita nella pratica della Lingua universale dei neonati. Quella grazie alla quale schiere di pochimesenni pelati congiurano alle nostre spalle. State attenti, sono dappertutto.
Cose che ho imparato su me stessa andando in Olanda con mio figlio
Non devo avere poi questi canoni estetici così rigorosi, né principi morali così saldi, se riesco a trovare gradevole un ristorante in stile coloniale traboccante di decorazioni di Halloween.
Dovrei finalmente imparare che anche i figli degli altri, talvolta, piangono. E che le madri non rischiano la lapidazione per questo.
Sono in grado, col supporto del Socio, di cambiare un pannolino sul secondo aereo più scomodo della storia. Senza sporcarmi le mani. (Sul Cityliner non ci avrei neanche provato).
Le madri nordeuropee che girano il mondo con almeno 3 figli biondissimi, educati e sempre tranquilli, con i capelli perfettamente in ordine e senza un filo di occhiaie devono nascondere un terribile segreto (perché la vita è ingiusta e crudele, ma non può esserlo fino a questo punto).
Al monotono stress casalingo, preferirò sempre e comunque la fatica eccezionale (e gli scazzi momentanei) del viaggio. E poi, se proprio devo avere le occhiaie ad altezza ginocchia e i capelli da spaventapasseri, sempre meglio sfoggiarli in giro per il mondo, no?