Sento che tra molti anni ripenserò con nostalgia a questo agosto sconfinato trascorso a fare castelli di sabbia nel giardino in cui, da piccola, allevavo chiocciole e seppellivo lucertole. A soffiare bolle di sapone che sembrano morule, mentre Davide mi saltella intorno cercando di farle scoppiare con la bocca (Mangia tutte boglie Danide, perché lui il soggetto lo mette sempre alla fine, come i latini) e Flavia mi guarda con la sua aria interrogativa, mentre succhia una fronda di vite che mio padre ha rubato per lei chissà dove.
Un agosto senza adulti, persi in viaggi avventurosi o preconfezionati, carriere impegnative, amori spezzati, serate senza fine e attese di quello che sarà, magari, domani. Intenti a prolungare all’infinito la propria giovinezza o, al contrario, a invecchiare all’improvviso da un mese all’altro, abortendo quello che resta del bambino che erano stati. Adulti ormai lontani da una donna che è madre mentre nutre e consola, bambina mentre salta e scava e canta e inventa, adolescente mentre spera che i suoi amici, prima o poi, passino ancora a trovarla nel suo giardino ritrovato.
Mi mancherà, prima o poi, questo agosto di tramonti alla finestra, che grondano un succo appiccicoso come le pesche che taglio a dadini per mio figlio alla fine di ogni giornata che sembrava non dover finire mai. Un agosto alla finestra della vita che gli altri stanno vivendo mentre io costruisco esistenze altre, le osservo sbocciare, rafforzarsi, indurirsi come le conchiglie delle chiocciole che allevavo venticinque anni fa, in quel famoso giardino, insieme ad amici persi chissà dove e chissà quando.
Ripenserò con tenerezza a questo mese caldo in cui mio figlio ci diceva – a me e a suo padre – “Vicino!“, e cioè mamma, papà, sedetevi accanto a me, stretti stretti anche se poi suderemo, non lasciatemi solo, perché io sto bene se sto vicino a voi. Il mese in cui, forse, sono stata amata di più da quando sono al mondo, ma anche di meno, se è vero come è vero che il mio telefono resta muto da un tempo così lungo che non riesco più a ricordare la suoneria che avevo scelto. Agosto in cui scrivo cose che nessuno leggerà, agosto in cui mia madre, che in questo mese annichiliva sempre un po’ nella solitudine e nell’attesa, sembra viva come mai prima, forse – mi illudo – anche perché io tento di parlarle con un rispetto e una serenità che non le avevo mai concesso da quando sono cresciuta e ho smesso di chiederle “Vicino!”.
Penserò con nostalgia, credo, a questo agosto che mi stravolge, ma che vorrei non dovesse finire mai, perché quello che verrà dopo non lo conosco e non so se mi piacerà. Proverò malinconia, un giorno più o meno lontano, per la malinconia che provo in questo agosto maliconico. Mi mancherà la me stessa a cui, adesso, manca una me stessa che da tempo non esiste più (e che forse, forse, non è nemmeno mai esistita).