La comunicazione sulla maternità, specie nel fantasmagorico mondo del web, è di solito afflitta da uno di due possibili mali antitetici. O è sfacciatamente faziosa, polemica, integralista. Oppure è troppo buonista, democristiana, politicamente corretta. Si passa dal sostenere arbitrariamente, e spesso con ferocia, che la tale o tal’altra scelta (che di solito è la propria, manco a dirlo) in fatto di educazione o accudimento dei figli sia l’unica davvero valida, al dichiarare nel tono più empatico possibile che le scelte in questione sono tutte uguali, e quindi tutte altrettanto valide.
La verità, per come la vedo io, non sta né da una parte né dall’altra. Nessuno dovrebbe avere l’arroganza e la superficialità di giudicare le altrui decisioni, attitudini o strategie. Dirò di più: nessuno dovrebbe avere la saccenza e la presunzione di credere di conoscere così a fondo le situazioni di vita di un altro essere umano da potersi permettere di biasimarlo. Però trovo che si perda moltissimo, in termini di arricchimento reciproco e “diversità culturale”, costringendosi, per paura di risultare giudicanti o di offendere qualcuno, a negare che ci siano delle differenze tra le nostre scelte e le nostre vite.
Allattare al seno o al biberon. Partorire con un cesareo o con un parto naturale. Lavorare o occuparsi esclusivamente della famiglia. Avere figli o non averne. Averne uno o quattro. Viaggiare da soli o insieme a dei bambini. Non sono scelte e situazioni identiche. Sono, semmai, equivalenti. Un po’ come essere maschio e femmina.
Io rivendico l’unicità delle mie scelte, la straordinaria esclusività della mia esperienza. E vorrei poter raccontare la mia storia a chi abbia voglia di ascoltarla, senza avere ogni volta il terrore di offendere qualcuno, o di sembrare schierata a favore di una certa fazione o di quella opposta. Voglio poter dire che la relazione con i miei figli, nel bene e nel male, non sarebbe stata la stessa senza l’allattamento prolungato, senza per questo essere accusata di sminuire le madri che non allattano e il loro rapporto con la prole. Voglio poter dire che lavorare e crescere dei figli certe volte è davvero estenuante, senza sentirmi ogni volta obbligata a precisare che certo, anche le casalinghe si fanno un mazzo tanto dalla mattina alla sera. Voglio poter dire che viaggiare con i figli è un’avventura impegnativa e fantastica, e che io non ho alcuna intenzione di farne a meno. Senza dover premettere che naturalmente anche prenotare in un villaggio turistico o partire lasciando i bambini ai nonni sono opzioni del tutto rispettabili. Se mi dichiaro molto più stanca di quando avevo un solo figlio, non sto dicendo che le madri di figli unici non siano stanche. E, sempre su questo tema, se racconto quelli che per me sono i lati positivi dell’avere due figli, non lo faccio per screditare le coppie che si fermano dopo il primo bambino.
Tutte cose che secondo me dovrebbero essere ovvie, ma che a quanto pare non lo sono affatto.
Non siamo tutti uguali, e non lo sono le nostre vite. Negarlo non ci rende giustizia, ci impoverisce e ci massifica. Ma questo non vuol dire che una scelta sia migliore di un’altra in assoluto. Non ci sono medaglie che aspettano chi fa la cosa più giusta, più sana, più naturale. Non ci sono premi in denaro per chi si immola sull’altare del sacrificio. Ci sono solo le nostre storie, uniche e straordinarie. Tutte diverse, per fortuna.