Fare i genitori non è mai stato così difficile, perlomeno dal punto di vista psicologico. È un’affermazione forte, che ho già fatto in precedenza e che mi attirerà probabilmente qualche critica, ma è qualcosa di cui sono del tutto convinta. Prima era più facile fare i genitori, e in questo post provo anche a spiegarvi il perché.
Il modello educativo unico
Salvo eccezioni relativamente rare (e che venivano bollate di solito come assai naif), fino a qualche decennio fa il modello educativo era sostanzialmente unico. Opinabile, improvvisato, magari addirittura fallimentare – stando ai livelli apparenti di insoddisfazione, insicurezza e mancanza di empatia dei miei coetanei – ma “semplice” da applicare nella sua fondamentale univocità. Per crescere ed educare un figlio si adottava sostanzialmente il metodo che tutti gli altri, da generazioni, applicavano più o meno pedissequamente, e col quale a propria volta si era stati tirati su. Le voci controcorrente erano quasi inesistenti, non era poi così necessario mettersi in discussione, farsi domande studiare. Prima era più facile fare i genitori: si faceva “come si era sempre fatto”, nell’illusione collettiva che tutto funzionasse per il meglio.
Una salvifica inconsapevolezza
Potrei sbagliarmi, ma tendo a credere che la maggioranza dei nostri genitori non si attribuisse che la decima parte (per essere generosi) delle responsabilità che oggi noi sappiamo di avere in tema di sviluppo emotivo e psicologico dei figli. Esisteva, suppongo, la vaga consapevolezza di non essere infallibili e si avvertiva la responsabilità di poter condizionare in qualche modo la personalità della propria prole, ma di certo non si viveva con la sensazione costante di rappresentare, per i propri bambini, la causa potenziale di carenze o eccessi di autostima, insicurezze, paure, fragilità e magari pure di decenni di psicoterapia futura. E quindi, almeno dal punto di vista psicologico, prima era più facile fare i genitori.
La disattenzione al benessere psicologico
Corollario del punto precedente. Per sentirsi dei “bravi genitori” era sufficiente provvedere con zelo ai bisogni materiali dei propri figli – cibo, igiene personale, salute, vaccinazioni, sport -, assicurarsi che andassero a scuola e che imparassero “la buona educazione”. Si compravano regali e vestiti di buona fattura (e chi aveva i mezzi magari tendeva pure a strafare, da questo punto di vista), si cercava di “farli contenti” il giorno del compleanno e a Natale, ci si assicurava che avessero delle amicizie, e che fossero “buone amicizie”. Ma i bisogni psicologici ed emotivi dei neonati e dei bambini erano, di fatto, profondamente misconosciuti e sottovalutati. L’attenzione a questi aspetti dello sviluppo di un essere umano era mediamente risibile, e di rado un genitore si sentiva conscio di ricoprire un ruolo fondamentale e insostituibile, da questo punto di vista. Dalla nascita di suo figlio fino a ben oltre la sua adolescenza.
I ritmi più sostenibili, il lavoro più stabile
Quando ero piccola io c’era, in media, una disponibilità economica inferiore rispetto a quella su cui possiamo contare adesso. Viaggiare, uscire a cena, andare a teatro erano lussi riservati a pochi privilegiati. Però il mercato del lavoro era molto diverso rispetto a oggi, e a molti genitori veniva risparmiata l’odissea del precariato cronico e della instabilità a vita. Della flessibilità che diventa schiavitù, del “tempo di lavoro liquido” che si trasforma in schiavismo 2.0. Fattori per i quali, secondo me, prima era più facile fare i genitori.
Un progresso più lento
Il progresso tecnologico non è mai stato tanto rapido come negli ultimi vent’anni. Quando ero piccola io esistevano ancora i vinili, che tenevano banco da vari decenni, da allora ho visto esplodere e scomparire almeno 3 supporti per l’ascolto e la condivisione della musica: le musicassette, i cd e gli mp3 (ancora marginalmente usati, in quanto tali). E questo vale in tantissimi altri campi. Si tratta di una grande opportunità, per un genitore, ma anche di una complicazione enorme: i nostri figli cresceranno in un mondo non solo drasticamente diverso da quello in cui siamo cresciuti noi (cosa che era in gran parte vera anche per i nostri genitori), ma lo faranno in una società plastica ed evanescente, in continuo cambiamento. Stare in qualche modo al passo, tentare di non venire del tutto tagliati fuori, è un compito arduo e spesso frustrante.
La perdita dei punti di riferimento
La mia generazione è cresciuta nel crepuscolo di un modello familiare e sociale che stava in piedi almeno da qualche secolo. La monogamia, il matrimonio, le grandi ideologie politiche del secolo scorso, la religione (o l’ateismo), le istanze civili e l’associazionismo. Si trattava di un modello spesso forzato e anacronistico, fondato sul condizionamento collettivo e su molta ipocrisia. Ma era comunque una “cornice” rassicurante, una rete di sicurezza che magari non ti rendeva felice, ma ti impediva per lo meno di chiederti se non fossi per caso infelice. Nel giro di qualche lustro, questo impianto è crollato dalle sue fondamenta, e la mia generazione di genitori si trova oggi a rifondare quasi dal nulla un sistema valoriale condiviso, un concetto comune di etica, di famiglia e di società stessa. Una sfida stimolante, ma anche ciclopica.
Le informazioni più scarse
Il fatto che molte informazioni – in tema di pedagogia, salute, didattica e molto altro – semplicemente non circolassero era per molti versi un grosso limite. Ma sollevava i genitori da una colossale mole di domande, dubbi esistenziali e sensi di colpa.
La pressione sociale inferiore
La gente spettegolava e giudicava anche prima dei social network, questo è sicuro. Ma credo di poter dire che la pressione sociale sui genitori fosse drasticamente inferiore ai livelli attuali. Avere dei figli era considerato “niente di speciale”, una fase come un’altra della vita a cui tutti erano in qualche modo destinati. E a meno di non maltrattare fisicamente i propri figli, difficilmente si veniva bollati come genitori inadeguati. Dagli altri, e di conseguenza da se stessi.
I bambini sono cambiati
Non è cambiata solo la società nel suo complesso: sono cambiati anche i bambini stessi. Più precoci, più stimolati, più socialmente connessi (e quindi anche più esposti, già precocissimamente, al confronto, al condizionamento, al conflitto). Più consapevoli da un lato e forse più fragili dall’altro.
I figli come scelta di vita “automatica”
Anche questo afferisce alla sfera della mancata consapevolezza. Le persone, di solito, arrivavano alla maternità e paternità in maniera automatica, quasi inevitabile. Diventare genitori era un processo fisiologico, più che una scelta vera e propria. E immagino che in molti casi questo potesse rendere più fatalisti, o se non altro meno inclini a interrogarsi sul proprio ruolo e sui propri reali bisogni.
Fare i genitori, prima, magari non era un compito più semplice, ma forse era percepito come tale. Era “vissuto” come tale. Con altrettanta partecipazione emotiva ma con una auto-attribuzione di responsabilità per alcuni versi più contenuta. Cosa ne pensate? Anche voi ritenete che prima fosse più facile fare i genitori, almeno da un certo punto di vista?