Solo una volta sono stata ai tropici. Era la mia luna di miele, Bali a giugno (edit: poi ci sono tornata per il progetto #azzeraladistanza!). Ventisette gradi fissi e il sole che tramontava lentamente intorno alle 18. Come a gennaio, come a ottobre. Praticamente nessuna variazione stagionale nella temperatura media, un numero di ore di luce pressoché identico in ogni mese dell’anno. La stagione delle piogge e l’intensità delle maree i soli segnali del tempo che passa, degli anni che si inseguono, dell’inverno che cede il passo alla primavera e così via.
A me, sia chiaro, vivere a Bali non dispiacerebbe affatto. Rinunciare per sempre a cappotti e stivali, bagnarmi tutto l’anno nelle acque tiepide dell’Oceano Indiano e mangiare frutta tropicale come se non ci fosse un domani: una prospettiva per nulla deprimente, per dirla tutta. Però, ecco, l’incedere lento delle stagioni mediterranee mi mancherebbe tanto.
Io sono una che ha bisogno del rigore dell’inverno per riuscire a rimpiangere l’afa di luglio. Mi piace crogiolarmi nella sottile angoscia dell’oscurità novembrina, pensando che dopo qualche mese il sole tornerà a brillare fino a tarda sera. Saluto ogni nuova estate con l’emozione di un’esule che rivede la sua terra dopo una vita al confino, ma arrivo sistematicamente a ottobre con un ineluttabile desiderio di coperte di lana, caldarroste profumate e tazze fumanti.
Gli alberi che cambiano colore, il cielo che muta nelle sue mille sfumature. La grandine e l’umidità, lo Scirocco e la Tramontana. Il mare che in certe giornate autunnali sembra una lastra immobile d’acciaio, e a maggio scintilla come una distesa di oro liquido. Le macchie di prato che muoiono nel sole per rinascere a primavera. Una volta e un’altra e un’altra volta ancora. La Terra che, come una fenice immortale, invecchia, avvizzisce e poi ritrova puntuale il vigore sensuale della prima gioventù.
Forse le mezze stagioni sono in via di estinzione. Forse il cambiamento climatico ha sconvolto per sempre quello che la mia generazione ha studiato alle elementari come “clima mediterraneo”, e di certo questa primavera (edit: ma non questo autunno!) mi sembra abbastanza reticente di fronte a quello che sarebbe il suo lavoro per antonomasia. Ma a me piace molto vivere in un posto in cui la natura è in grado di mostrare mille volti in un anno solo. In cui la luce e le ombre danzano mutevoli sulle meschinità degli uomini. In cui a Natale può fare così tanto freddo da farti sorridere di meraviglia davanti alle foto scattate l’estate precedente.
Allora io sto qui e aspetto. Aspetto un’altra estate, sapendo che la cosa più dolce che mi porterà sarà il desiderio struggente del prossimo inverno.