Hanno condizionato profondamente la vita di tutti noi. Il lavoro, le vacanze, la percezione di noi stessi, i rapporti umani. Ma anche la maternità non è più la stessa, da quando esistono i social network. Volete le prove? Eccole qui!
Il travaglio minuto per minuto
Avete presente, no? La telecronaca in mondovisione via Facebook, a cominciare dalla perdita del tappo mucoso (con tanto di dettagli sulla consistenza e sull’aspetto delle secrezioni) fino all’incalzare delle doglie e al racconto iperrealista dell’episiotomia. In diretta dalla sala travaglio. Ci manca la foto Instagram della placenta post secondamento (perché ci manca, vero? Vero??) e la narrazione è completa.
L’evangelizzazione online
Capita che una madre fresca di parto (o anche no) si senta per qualche ragione investita del compito di illuminare le sue congeneri sulle questioni più disparate. Senza, beninteso, che nessuno abbia chiesto i suoi servigi anti-oscurantismo. E così, certi profili Facebook diventano una specie di epopea dell’allattamento a richiesta, o del pannolino lavabile, o del portare in fascia. Oppure, in epoche più mature, dello svezzamento naturale, dell’alimentazione tutto-free (gluten-free, lactose-free, sugar-free, e liberate anche noi da questa lagna, visto che ci tenete tanto!), del gioco montessoriano. Raramente con un approccio scientifico e informativo, ma più spesso con un piglio aprioristico e un’aria si superiorità che al confronto Vittorio Sgarbi è una persona umile e dimessa. Praticamente, i Testimoni di Geova in versione materna e 2.0.
L’agiografia prematura
I loro figli, grazie al cielo, sono vivi e vegeti, ma questa particolare categoria di mamme social sente il bisogno irrefrenabile di sottolinearne di continuo le sensazionali virtù, come nel più retorico dei coccodrilli post-mortem. E, soprattutto, come se a qualcuno importasse delle pagelle brillanti dei figli, dei record sportivi frantumati (come le gonadi di chi è subissato di questi post prole-celebrativi) e, prima ancora, della precocità straordinaria nel parlare, gattonare, camminare, usare il vasino, vestirsi da soli, far di conto, tradurre dall’ucraino, cantare tutto il repertorio dei Beatles al contrario. Rilassatevi. Non frega a nessuno se avete generato un fenomeno da guinness o un figlio da coito-post-Guinness.
La deriva splatter
La merda dei figli. Il vomito dei figli. Il cerume dei figli. Le caccole dei figli. Il menarca delle figlie. Ovvero la perdita di ogni concetto di buon gusto e di pudore.
L’apoteosi delle fake news
Forse mi sbaglio, ma mi sembra che i genitori (maschi e femmine) siano una categoria particolarmente vulnerabile alle cazzate atomiche che circolano sui social. Forse perché, in effetti, la responsabilità di un essere umano dà le vertigini, o forse perché con un figlio piccolo si dorme poco la notte. Si va dal grande classico dei vaccini al veleno, alla gravissima “azione infiammatoria” del latte vaccino. Dagli effetti mortiferi degli zuccheri raffinati alle crociate contro l’olio di palma. È come se con la maternità scattasse il riflesso condizionato a condividere qualunque roba allarmistica. Anche se la fonte è l’autorevolissimo sito cinascondonolaverita.it.
La finta strafottenza
Va di moda, l’ho scritto spesso. Va irresistibilmente di moda vantarsi sui social di quanto ci si senta “madri di merda” (#madredemmerda, è la dizione più in voga, proprio col cancelletto dell’hasthag). Che palla al piede ‘sti bambini, che sfigate ‘ste mamme chiocce, sono una pessima madre, fingo di schernirmi ma non osate giudicarmi. Ci si vanta di essere degeneri, per altro, sulla base di comportamenti che di degenere non hanno niente, tipo:
– sono uscita la sera e ho lasciato mio figlio con la babysitter peruviana
– gli ho dato un pezzo di pane prima dei sei mesi di vita
– l’ho portato in spiaggia tra le 12 e le 16. Senza maglietta anti UV.
– ha fatto la cacca ma l’ho cambiato dopo mezz’ora
– ho dimenticato di mettergli la merenda nello zaino dell’asilo.
Ah.
Chiamate i servizi sociali, subito: la Franzoni, al confronto, è Santa Maria Goretti!
La finta famigliacuore
È il rovescio della medaglia del punto precedente. Quelle che passano due ore sole coi figli solo se costrette da una sfortunatissima sequenza di eventi avversi, e solo se i figli dormono in fase non-REM. Quelle che in vacanza, o a pranzo fuori, solo se è disponibile il baby-mini-micro-nanoclub 24 ore su 24, con dodici animatori, servizio colazione, pranzo, cena, merenda e ruttino (sia mai dover stare due giorni di fila insieme ai figli). Quelle che ogni volta che le incontri è una lagna ininterrotta su quanto siano “ingestibili, insopportabili, terribili” i marmocchi che hanno partorito…
… ma sui social è un tripudio di cuori glitterati, selfie mamma-figlio corredati di citazioni false di Paulo Coelho o citazioni vere di Saint-Exupéry, per ricordare costantemente al mondo che “i loro figli sono il dono più grande che potessero ricevere dalla vita”. Possibilmente corredati da animatore acca-24.
La soluzione alle conseguenze dei social sulle mamme?
Facile: aprite un blog, così voi potrete sfogarvi e la gente potrà scegliere se seguirvi o meno. Per tutti gli altri, c’è sempre l’opzione “Non seguire più”.