Da quando siete nati, abbiamo condiviso una quantità di esperienze che non credevo possibile. L’ansia di vedere la mia esistenza “finita” dopo la maternità si è trasformata nell’occasione di vivere con una intensità mai vista. Di godermi la vita, insieme a voi, riempiendola di viaggi, di natura, di bellezza. Di cose nuove da scoprire e per cui emozionarsi di continuo.
Eppure, quello che vorrei è che vi ricordaste non tanto i voli in aereo, gli spettacoli e le giornate speciali, quanto piuttosto le piccole liturgie quotidiane che scandiscono il tempo della vostra infanzia. I riti abituali e preziosi che agli occhi degli altri sarebbero insignificanti, o forse addirittura ridicoli, e che per noi costituiscono invece l’orizzonte giornaliero delle nostre vite normali, eppure così straordinarie.
Vorrei che ricordaste i denti di leone raccolti a bordo strada in questa stagione, soffiati via con gli occhi stretti e le guance gonfie. Il segno orizzontale che il sole traccia sul palazzo di fronte. Le migliaia e migliaia di “Ti voglio bene” che vi dico ogni giorno, il plaid verde, ormai un po’ liso, con cui ci scaldiamo in inverno davanti alla tv. Vorrei che ricordaste, in qualche anfratto oscuro della vostra memoria silente ed eterna, i nomignoli con cui vi chiamo sorridendo, il sapore della colazione che mangiate ogni mattina, l’odore dell’erba del giardino sotto casa. Il suono così peculiare del miagolio di Artù quando ha fame, la consistenza dei baffi che gli cadono e che troviamo in giro, le sue zampate quando si offende e colpisce.
Vorrei che teneste per sempre con voi il cinguettio degli uccelli che riempie la nostra casa a primavera, a cominciare da quello dei passeri che quest’anno hanno fatto il nido nella cappa della nostra cucina. La sensazione dei vostri piedi nudi sulle piastrelle lucide che non ho scelto io, la sequenza sempre uguale di gesti con cui io, o più spesso vostro padre, vi aiutiamo a fare la doccia di sera. Vorrei che ricordaste il colore dei tramonti che si ammirano dalla nostra finestra, che non ho mai trovato in nessuno dei miei viaggi e che a primavera le rondini ricamano di nero. Lo stridio dei pipistrelli, le voci dei vicini di casa che arrivano da lontano nelle sere d’estate.
Il suono del citofono, il profumo della pizza che ogni settimana cuoce puntuale nel forno, il tappeto su cui giocate da anni. Il gesto che faccio ogni volta che vi allaccio le cinture di sicurezza. Vorrei che rammentaste il colore dei vostri bicchieri preferiti e il sapore del dentifricio con cui vi lavate i denti. L’anta della scarpiera nell’ingresso che si apre e si chiude. Il nostro repertorio familiare di ninne nanne, la playlist che cantiamo a squarciagola in auto e i passi di danza che ci siamo inventati solo per noi.
Radici profonde, che stiamo costruendo insieme senza neanche saperlo. Piccole cose, che spero costituiscano, domani, l’ancora della vostra identità, il porto a cui tornare nella tempesta, il riferimento per ogni felicità futura. Un pezzo di questa infanzia bellissima che ci stiamo regalando, al di là della fatica, oltre gli errori e le difficoltà, e che mi auguro resti con voi per sempre, in qualche modo. Vorrei, più che i viaggi e le avventure, che ricordaste l’amore, quello vero, quello a volte ruvido e a volte scivoloso. Mozzafiato. Quello che mi insegnate ogni giorno, e che io ogni giorno provo a insegnare a voi.