Se ricevessi un soldino ogni volta che uno dei miei figli mi chiede di giocare, diventerei presto milionaria. I miei figli passerebbero ogni momento della loro giornata giocando, ed entrambi sono ben felici di coinvolgermi nelle loro “avventure” quotidiane. Flavia, in particolare, necessita ancora molto della mia presenza durante i suoi giochi, che sono per lo più giochi di ruolo in cui ciascuna delle due (e degli eventuali altri partecipanti) deve impersonare qualcuno: tipicamente, a me tocca la parte della maestra, o della mamma, ma anche della cliente di ristorante, della veterinaria, dell’hostess di volo eccetera. Questa del (tanto) tempo passato giocando coi figli è una delle (tante) cose per cui ogni tanto vado in crisi, facendo l’errore di paragonare il nostro assetto familiare a quello che mi pare abbiano altre famiglie, per quello che può trasparire all’esterno.
Gioco troppo insieme a Flavia e Davide? Dovrei fare in modo che loro si abituino a fare a meno della mia partecipazione? In tempi in cui impazza il culto della precoce autonomia – reale o presunta – dei bambini, mi viene di farmi queste domande. Non sono preoccupata per la definizione dei ruoli all’interno della nostra famiglia: i miei figli sanno bene che il loro papà e io non siamo degli amici, e che il nostro compito va ben oltre la condivisione dei giochi e del divertimento. Eppure sono circondata da genitori orgogliosi per il fatto che i loro bambini, coetanei o magari più piccoli dei miei, “sanno giocare da soli” per tutto il loro tempo libero, e questo ogni tanto mi lascia pensare.
A me piace giocare. Mi piace farlo in generale e mi piace farlo con Davide e Flavia. Mi piacciono i giocattoli, mi piace pasticciare, adoro travestirmi (mi diverto un po’ meno coi giochi di ruolo), anche se è un grande impegno investire così tanto tempo e una mole considerevole di energie mentali e fisiche nel giocare ogni giorno insieme ai miei figli. E a volte mi capita di trovarmi a rimandare incombenze pratiche (bucato da stendere, cena da preparare, aspirapolvere da passare) perché Flavia mi chiede insistentemente di giocare con lei, o addirittura di recuperare in serata scadenze di lavoro dopo aver trascorso parte del pomeriggio a giocare con lei o con suo fratello.
Forse sbaglio? Forse hanno ragione le schiere di madri che raccontano – non senza un pizzico di autocompiacimento – di sottrarsi sistematicamente alle richieste ludiche dei figli? Di “averli abituati” all’autonomia, o di aver lasciato a papà e nonni l’esclusivo appannaggio del gioco? Io so soltanto che una delle ragioni (magari futili o puerili, d’accordo) per cui ho deciso di fare dei figli era quella di poter giocare insieme a loro. Che il gioco diventa ogni giorno un’occasione di fornire loro stimoli di valore e dosi generose di fiducia, oltre che di passare il tempo e divertirsi. E che assistere allo spettacolo quotidiano della loro immaginazione in tumulto è una continua sorpresa.
Avranno tempo per fare a meno della mia presenza, e io per sentire la mancanza dei loro: “Mamma, giochiamo?”.