Pensieri inquinati di una madre non convenzionale
Che poi questa cosa io l’ho sempre saputa. Ben prima di diventare mamma, addirittura prima di diventare green. È inevitabile: la latitudine a cui nasci e cresci condiziona la tua vita in modo profondo e in parte irrimediabile. Non solo influenza le tue abitudini alimentari (e quindi l’aspetto fisico e, in qualche caso, le condizioni di salute), il modo in cui vivi i rapporti familiari, il grado di tolleranza al maltempo e la capacità di reggere l’alcol. Il posto in cui nasci e cresci finisce col decidere in larga parte quante e quali opportunità ti saranno concesse e, cosa forse ancora più importante, la natura della maggioranza delle persone che incontrerai. Nel caso di questa ragazza green, che a un tratto si è concessa pure il lusso di diventare mamma, ha comportato molte volte un supplemento di fatica per riuscire ad essere ciò che è, uno sforzo extra per superare certi confini che, prima che geografici, sembrerebbero mentali o culturali.
Nel posto in cui vivo, una mamma green nuota controcorrente, il più delle volte quasi sola. Non perché sia migliore delle altre madri, s’intende, ma perché, a differenza di molte, ha potuto scegliere. Decidere se vuole davvero conformarsi al modello opulento e convenzionale che di solito viene proposto come l’unico possibile. Se desidera, per sé e per la sua famiglia, quello che la maggioranza ritiene essere il meglio o quello che lei stessa e la sua famiglia, di volta in volta, giudicano la scelta più opportuna. Una mamma green, nel posto in cui vivo io, in un certo senso è una madre più libera, a cui è stato concesso di andare oltre – le apparenze, i falsi miti, le mode.
Ma è anche una madre più sola. Che non di rado riconosce un certo scetticismo nel suo interlocutore (specie se si tratta di un’altra madre, diversamente colorata), che spesso è chiamata a fornire una giustificazione supplementare alle proprie scelte. Che, anche quando il modello che propone viene guardato con interesse genuino, rimane in buona sostanza un “tipo originale”, una genitrice alternativa e magari un po’ viziata che, forse, persevera nelle sue stravaganze più per anticonformismo che non per reale convinzione. Una che, per dirla con quattro lettere, in fondo in fondo è un po’ snob.
Una mamma green, nel posto in cui vivo, è pure una mamma stanca, più stanca della media già significativa delle mamme. Perché sa che quello che ha scelto per suo figlio – un indumento, un giocattolo, un alimento, un sapone – quasi sempre non sarà disponibile nel negozio sotto casa, e neanche nel supermercato più fornito della zona. Dovrà cercarlo in qualche raro punto vendita specializzato, prenotarlo con settimane di anticipo, farselo procurare da un amico che vive altrove, acquistarlo online, oppure farlo da sé, ammesso che riesca a trovare le materie prime necessarie. Qualche volta, sarà costretta a rinunciare, ripiegando sul surrogato che le pare il compromesso migliore tra quello che vorrebbe e quello che può avere.
Di certo non è una mamma più povera, perché, a dispetto del luogo comune diffuso strumentalmente da chi sostiene e incoraggia il modello “tradizionale”, pesare meno sulla Terra, nella stragrande maggioranza dei casi, permette di alleggerire anche il bilancio familiare (e questa è un’altra verità che la mamma green che vive alle mie latitudini deve difendere con le unghie e con i denti dallo scetticismo e dal sarcasmo dei più). Ma ogni tanto, per lo meno nel mio caso, è una mamma più preoccupata, perché sa che domani suo figlio potrebbe incrociare gli stessi sguardi perplessi che ogni tanto gelano lei e chiederle per quale assurda ragione non lo abbia lasciato crescere nella stessa beata inconsapevolezza degli altri. Potrebbe rimproverarle di aver scommesso a suo nome sul cavallo perdente, di averlo reso meno simile ai propri simili, di avergli imposto una diversità che lui non voleva. Di averlo reso, in qualche modo, più solo. E questo, per una mamma di qualsiasi colore, sarebbe un peso davvero insopportabile.
Vero è, mi dico nelle notti in cui non riesco a dormire, che questo rischio – il rischio di vedersi presentare dai figli il conto dell’imposizione arbitraria dei propri criteri – esiste per qualsiasi tipo di madre, verde, rossa o gialla che sia. E la speranza, solida, tutto sommato, è che il tempo dia senso e peso alle mie scelte, legittimi le mie decisioni e le avvalori. Le renda meno bizzarre e più facilmente condivisibili. A quel punto, e forse soltanto allora, saprò che la mia solitudine di madre non sarà stato un sacrificio vano.