Davide ama sua sorella con un trasporto che non riserva a nessun altro al mondo. La strizza, l’accarezza, la stropiccia, la sbaciucchia, perlomeno finché lei glielo lascia fare. “Io voglio bene a Flavia e a Giuseppino”, mi ha detto un paio di giorni fa all’uscita di scuola. Giuseppino è il suo migliore amico del momento, e se sua sorella gli è stata accostata con tanta solennità, si vede che il posto d’onore nel Gotha dell’amore autentico le appartiene di diritto. Davide ama sua sorella in quel modo un po’ apprensivo che io, figlia unica, ho sempre immaginato nei fratelli maggiori. Lei conduce la sua piccola vita sempre sul filo dell’azzardo, con un sorriso sbruffone e i capelli spettinati. E lui la segue con uno sguardo preoccupato ma indulgente, la redarguisce, si porta le mani alla bocca in una smorfia di ansia affettuosa. “Mamma, guarda Flavia cosa sta facendo!” mi avverte quando gli sembra che la situazione si faccia troppo rischiosa. Non per fare la spia, piuttosto a invocare protezione su quella sorella un po’ matta che la sorte gli ha regalato.
Flavia indossa spesso i panni smessi del fratello. Le stanno morbidi come a una piccola stella del rap. Portati con le sue minuscole scarpe rosa tenue, le danno un’aria da monella innocente che ogni volta mi fa sciogliere un pezzo di cuore. Di questo passo mi servirà un trapianto prima che lei vada alle elementari. “Questa era mia, vero”, dice Davide ogni volta che le vede indosso una maglia nuova. Senza punto interrogativo. La certezza del fratello maggiore che traccia la strada, che apre la pista, che c’era prima di te. Ci sono già passato. Io vado avanti, e tu mi segui con quel tuo passo incosciente e sempre accelerato.
Una volta, Davide ha chiesto a sua sorella: “Flavia, mi vuoi bene?”. Lei lo ha guardato, e senza riflettere gli ha risposto di no. “No” e basta. Senza un’inflessione di scherno o di rancore, senza un ghigno. Senza un’apertura verso la burla o la provocazione. Senza la giustificazione della rabbia. A me, che assistevo con una stretta di tenerezza verso di lui e un guizzo di curiosità verso di lei, è sembrata seria e naturale. Non saprei dire se suo fratello ci sia rimasto davvero male. L’ha guardata incredula, più che altro. Come se avesse udito no e compreso sì. Non è questo il caso, figlio mio. Ma dovrai imparare che non sempre basta amare qualcuno con tutto il tuo cuore per assicurarsi di essere riamati. Dovrai impararlo, e spero che non ti faccia troppo male.
A volte lui mi chiede perché sua sorella non si lasci abbracciare, o tenere per mano. Io gli rispondo che ognuno vive l’amore nel modo che preferisce, e che lei non ha sempre voglia di essere stretta, baciata, toccata. Che tutti, ma soprattutto le donne, vanno rispettate nel loro diritto di essere lasciate in pace. Lui mi ascolta, ma non capisce. La ama, e la vuole per sé. A me e a suo padre toccherà davvero il compito di spiegargli che volere il bene di qualcuno è cosa assai diversa dal volere e basta. Ho fiducia. In mio figlio, più che in noi, e questo dovrebbe bastare.
Flavia ama suo fratello come se fosse una parte di sé. Non glielo dice mai, e raramente glielo dimostra. Ma se lui non c’è, lei sta male. “Davide”, sentenzia senza aggiungere altro. L’amore fraterno forse è così, mi dico tutte le volte: non gli servono verbi, e neanche soggetti. Non ha bisogno di niente.
Quando sono all’asilo si cercano molto. Me lo racconta lui e me lo confermano le maestre. Lui mi riferisce se lei ha pianto o ha avuto paura, come quando a scuola si festeggiano i compleanni con il teatrino delle marionette e Flavia perde tutto il suo coraggio e strilla di terrore. Io ogni volta provo a immaginarli fra qualche decennio, oltre me e dopo di me. E vorrei solo che si amassero ancora così. In questo modo che non risparmia a nessuno dei due la delusione e l’insofferenza, l’ansia e la frustrazione. In questo modo che a volte fa ridere e a volte fa male forte.
Ma è vero. E non ha bisogno di niente.