Le cose che non so sono quelle che vorrei che mio figlio imparasse. Intanto, in un naturale e perfetto scambio di ruoli, lui continua ogni giorno a insegnarmi un sacco di cose che prima ignoravo completamente.
Primo comandamento, non giudicare gli altri genitori
Questa è la madre delle regole che ho imparato da quando sono madre (passatemi il mediocre gioco di parole): se prima fulminavo con occhiatacce al vetriolo tutti i treenni urlanti che incrociavo sulla mia strada – e i loro genitori, soprattutto – adesso mi limito a sperare che non capiti anche a me, un temibile esemplare di Pupo scalcians. Quando altre mamme mi raccontano di riuscire a far mangiare i propri bambini solo davanti alla TV, rispondo sinceramente: “Noi abbiamo resistito fino ad ora, speriamo che duri il più possibile”. Prima? Avrei alzato due spalle e un sopracciglio con una grassa dose di biasimo. Ma prima era prima, appunto.
Mai dire mai
Che poi sarebbe un corollario del teorema precedente. Un bambino piccolo, a volte, viene al mondo accompagnato da un corredo pesantissimo di stanchezza, frustrazione e ansia. E la stanchezza, la frustrazione, l’ansia possono trasformare una madre – qualsiasi madre – in una eroina o in un’omicida. Basta un momento di solitudine, una notte più dura delle altre, un pianto che dura un po’ più a lungo. Una scarica di ormoni troppo violenta. È davvero un attimo. Ma i danni più gravi, ho imparato sulla mia pelle, di solito è l’amore che li fa.
L’amore, a proposito
Mio figlio mi ha insegnato, o per lo meno mi ha ricordato, che per innamorarsi a volte occorre un po’ di tempo. Che il lieto fine non inizia sempre con un colpo di fulmine, che il primo sguardo spesso illumina poco e male. Che non si diventa per forza madri in sala parto.
A volte basta aspettare
Appunto. Quando hanno distribuito la pazienza, probabilmente ero andata a fare la pipì. Attendere mi innervosisce, i tempi morti mi rendono ansiosa e paranoica. Ma avere un figlio, forse, attiva qualche gene dormiente che ti insegna a contare fino a dieci. Oppure, in certi casi, fino a diecimila.
Quel dolore che passa subito
Il dolore fisico, specie quello del travaglio, può farti uscire di senno, può impedirti di pensare a qualunque cosa che non sia la tua stessa sofferenza, può farti pregare se non credi e imprecare se sei molto devoto. Ma quando passa, se sei tra i fortunati ai quali passa, ricominci a vivere come se niente fosse (a differenza del dolore “morale”, che almeno nella sottoscritta scava solchi e rughe che niente e nessuno colmerà mai più).
L’imprevisto è dietro l’angolo
Sempre. Anche se sei una maniaca del controllo che da oltre 30 anni vive elaborando il piano B, e possibilmente pure quelli C e D, prima ancora di avere anche solo una pallida idea del piano A.
Perdere tempo
Il tempo speso bene, certe volte, è quello trascorso senza una reale occupazione, oppure ripetendo allo sfinimento la stessa semplice attività. I bambini piccoli, come gli animali, sono in grado di convertire un’abitudine in un rito, di trasformare la monotonia in liturgia. Restituiscono la giusta dignità ad attività naturali e cicliche come il nutrirsi e l’addormentarsi. Ci obbligano a ricordare che non è solo lecito, ma direi addirittura doveroso, passare del tempo senza fare niente, comunicare senza avere nulla da dirsi, toccarsi, guardarsi e dormire abbracciati.
Mi ami?
Permettere a mio figlio di cadere, di sbagliare, di non farcela, è la cosa più difficile, e ancora non l’ho imparata. Ma l’impresa davvero ardua sarà riuscire a vivere senza chiedermi continuamente se lui mi ama. Questo, però, in fondo lo sapevo già.