Mia figlia Flavia (detta Piaia da suo fratello maggiore), secondogenita dopo un maschio, compirà un anno e mezzo tra poche settimane.
Nella sua giornata tipo, lei:
Si sveglia ad un orario del tutto imprevedibile, dopo una nottata con almeno tre o quattro risvegli.
Tira la coda di Artù da un minimo di due a un massimo di sei volte.
Cerca di introdursi nel box doccia, nell’oblò della lavatrice e/o nel mobile della raccolta differenziata. E una volta su tre ci riesce.
Prepara e serve un pasto da quattro portate più tisana digestiva per 14 tra orsacchiotti e bambole, inclusi tre Minions, un coniglio di pezza che nel 1991 mio cugino mi ha portato dalla Cecoslovacchia e il bambolotto nero di Davide, che si chiama Giuseppe.
Si arrampica su un supporto a scelta tra: la parete attrezzata della cucina, il termosifone della camera da letto, lo scaffale a giorno del ripostiglio.
Stalkerizza Artù mentre sta in lettiera, piantandosi a due centimetri dalla porticina basculante e ripetendo in loop: “Gatto. Ttù. Cacca. Pipì. Dentro”.
Apre l’acqua del bidet alla massima intensità un numero di volte compreso tra uno e infinito.
Erige e demolisce almeno 19 torri di Lego.
Organizza e disputa una mezza dozzina di corse a due e quattro ruote, con tanto di colonna sonora e commento tecnico (mi aspetto il giro di scommesse clandestine entro il compimento dei due anni).
Esige il seno tra le quattro e le dieci volte, al grido di: “Tetta! Bboona!”.
Tenta di mangiare i croccantini per gatti sovrappeso di Artù. Ci riesce mediamente una volta a settimana.
Scarabocchia, possibilmente con inchiostro indelebile, almeno 2,5 metri quadrati di pareti, oltre a un numero variabile di superfici non lavabili e a una discreta percentuale della propria e altrui pelle non ricoperta da indumenti.
Scaraventa più o meno accidentalmente un terzo dei suoi pasti sul pavimento.
Cerca di lavarsi i piedi nella ciotola di Artù. Ci riesce all’incirca due o tre volte al mese.
Ingerisce quantità imprecisate di plastilina, pasta cruda, carta, pane che teneva in mano dal giorno precedente e incrostazioni di biscotti fossili.
Parla (non lalla, né balbetta, ma esprime concetti precisi e perentori, talvolta in musica) per almeno otto ore complessivamente. Come se avesse firmato un regolare contratto davanti a un delegato della Fiom.
Colpisce il pallone con una parte nuova del proprio corpo.
Se dobbiamo uscire e fa freddo, si sfila la giacca brontolando tra le 7 e le 15 volte.
Rischia di essere sbranata da Artù. Che comunque sarebbe, nel caso, in grado di ottenere una serie di attenuanti anche col più scrauso degli avvocati di ufficio.
Sempre lei, mia figlia di quasi un anno e mezzo, nel nostro recente viaggio in Repubblica Dominicana è riuscita a:
Affrontare un volo intercontinentale di oltre 10 ore dormendo in totale per 50 minuti (e litigando furiosamente con un suo coetaneo britannico per il possesso di un libro sui gatti, che il malcapitato bambino si era ingenuamente portato da casa).
Ballare musica caraibica in mezzo alla strada.
Cercare di arrampicarsi, nuda, su una palma che svettava ignara sulla spiaggia.
Rubarmi il platano fritto ogni volta che ne aprivo un sacchetto.
Pascere scimmie e pappagalli con frutta tropicale e arachidi.
Inseguire galli, mucche, pecore, capre, pulcini e Dio sa quali altri quadrupedi e bipedi centro americani.
Seppellirsi volontariamente sotto una camionata di sabbia dopo essere stata completamente vestita e calzata al termine di un pomeriggio di giochi in spiaggia.
Pretendere di assaggiare la mia pinacolada analcolica…
Quando soccomberò a tanta energia (perché è solo questione di anni, nella migliore delle ipotesi), si ricordi, di grazia, che il mio epitaffio deve essere: “Le femminucce sono più tranquille”.