Nella vicenda collettiva che ci è stato dato di affrontare e superare – e che per tanti, purtroppo, ha assunto i connotati di una tragedia indicibile – mi sento fortunata ad avere dei figli a cui badare. Avere dei figli ancora piccoli di cui occuparmi mi impone, in questo tempo senza tempo, di mantenere dei ritmi sani, di restare attiva, salda, presente. Di superare ad ogni costo i momenti di ansia, di scoramento, di apatia. Di salvaguardare i punti di riferimento, di preservare le consuete liturgie quotidiane, di imporre una pur dolce disciplina che consenta di andare avanti con decenza nonostante l’assenza dei soliti schemi. Di assicurarmi che loro mangino (anche) cose sane, che impegnino il loro tempo in modo costruttivo, che facciano regolarmente i compiti, che non trascurino l’igiene personale, che tengano in ordine la loro camera, che facciano esercizio fisico, che abbiano sempre a disposizione abiti puliti, pastelli colorati, materiali per le loro attività. E che siano sereni nonostante la pandemia. Se dovermi occupare solo di me stessa e del mio benessere non sarebbe stata, forse, una motivazione sufficiente a mantenere lucidità e ottimismo, avere la responsabilità del benessere dei miei figli è quello che alla fine sta salvando anche me.
E nella mia gratitudine di madre, sono grata ancora di più che i miei figli abbiano l’età che hanno, in questo momento. Sono grata che non siano troppo piccoli per riuscire a capire la ragione che ci tiene in casa da settimane, e che ancora per settimane lo farà. Che non abbiano quell’età in cui è impossibile a un bambino restare seduto nello stesso posto per più di cinque minuti, applicarsi in un gioco, affrontare una conversazione o guardare un film assieme a mamma e papà. Ma ringrazio anche che non siano adolescenti, bisognosi del gruppo come dell’aria che respirano, innamorati pazzi di qualcuno, magari insofferenti alla famiglia e di certo alla costrizione in casa.
Per quanto abbiano già viaggiato in quattro continenti, per quanto siano legatissimi ai loro amici e ai loro parenti, per quanto siano avvezzi da sempre a trascorrere le domeniche tra parchi, spiagge, musei e teatri, Davide e Flavia hanno un’età per cui il loro mondo coincide ancora sostanzialmente con la loro famiglia e la loro casa. Un’età in cui passare la serata a giocare a Monopoli con mamma e papà non sembra solo un ripiego accettabile, ma la migliore delle opzioni possibili, e trascorrere assieme interi pomeriggi a giocare in cameretta non suona come una mezza punizione, ma come una specie di vacanza sui generis. Un’età in cui le rassicurazioni dei genitori sono ancora sufficienti, le loro spiegazioni convincono e il loro abbraccio basta a mandare via finanche la paura della malattia e della morte.
Non so quando e come usciremo da questa situazione indicibile. Ma in cuor mio trovo speranza nel pensare che, per quanto possa sembrare paradossale o a tratti addirittura eretico, i miei figli ne conserveranno anche un ricordo dolce e lieto. Un ricordo a cui attingere quando, adulti, si troveranno ad affrontare altre sfide più o meno estreme, altre prove in cui restare saldi, restare sereni, restare liberi.
*** Foto di repertorio, ovviamente.