Quando ho letto per la prima volta della possibile pericolosità del talco sono rimasta di sale. Io il talco – soprattutto quello venduto nel celeberrimo barattolo verde – lo adoro. Mi piace l’odore che ha, la sua impalpabile consistenza, il senso di fresco e di asciutto che lascia sulla pelle. Mi piace la sensazione di pulito a cui l’ho sempre associato. Per anni, dopo ogni doccia, mi sono letteralmente tuffata in candide nuvole di talco, che applicavo sistematicamente anche dopo le operazioni quotidiane di toletta spicciola. Un piccolo rito giornaliero che ho mio malgrado limitato dopo aver letto dei rischi legati all’uso improprio (state già immaginando delle fettine panate al profumo di mentolo, dite la verità…) eccessivo di polveri cosmetiche a base di talco. In giro, in realtà, se ne legge di ogni. Siti web, forum e riviste attribuiscono a questo minerale di magnesio una serie quasi infinita di effetti tossici o addirittura cancerogeni. Stando alle cassandre mediatiche, il talco sarebbe responsabile, nell’ordine, di allergie, dermatiti, problemi respiratori, cancro all’endometrio, asbestosi (sì, come l’amianto) e chi più ne ha più ne metta. Ci manca solo che qualcuno attribuisca alla famosa polvere per il bagnetto anche l’aumento dell’IVA, la moda degli abiti fluorescenti e la canicola di agosto.
Ma cosa c’è di vero?
Quel che è certo è che nel 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la Iarc di Lione, ha classificato le polveri per il corpo a base di talco come “possibili cancerogeni”, insieme ad altre decine e decine di prodotti. Una potenziale cancerogenicità che da allora non è stata confermata né smentita. Uno studio apparso nel 2010 sulla rivista Cancer epidemiology Biomarkers & Prevention, inoltre, ipotizza una correlazione tra il tumore all’endometrio e l’uso sistematico del talco (almeno una volta a settimana per anni o decenni) sulle parti intime femminili (ma va detto che questa neoplasia è, ahimè, particolarmente diffusa, e che fattori come il diabete, l’obesità e alcune particolari condizioni ormonali ne favoriscono l’insorgenza). Per iscrivere definitivamente la polvere a base di talco nel libro nero dei cosmetici cancerogeni, dunque, occorrerebbero altri studi ad ampio raggio. Quanto al possibile “effetto amianto”, sembrerebbe in buona sostanza una bufala, dal momento che la natura fisica dei cristalli di talco differisce sensibilmente da quella delle fibre di amianto, che è alla base dell’insorgenza di asbestosi e altre gravi patologie. La leggenda metropolitana potrebbe essersi diffusa perché in passato tracce di amianto potevano essere presenti nel talco, perché le cave dalle quali era estratto erano attraversate da filoni del pericoloso minerale, ma a partire dal 1973 tutti i prodotti a base di talco devono per legge essere privi di amianto. E ci mancherebbe altro.
Se, almeno stando alle conoscenze attuali, il talco non sembra dunque essere cancerogeno, pare invece che il suo abuso e la conseguente inalazione possano però creare problemi alle vie respiratorie, soprattutto quelle piccole e delicate dei bambini. Qualche preoccupazione deriva anche dall’effetto antitraspirante che il talco sembra avere sulla pelle, dal momento che le piccole particelle possono occludere i pori. Ma tra allarmismi eccessivi, disinformazione e luoghi comuni, come regolarsi, soprattutto quando in gioco ci sono – è proprio il caso di dirlo – le adorabili chiappette dei nostri bambini? Secondo me la chiave sta nel non esagerare. Non rifuggire il dispenser del Borotalco (Oops! L’ho detto…) come se fosse pieno di spore di antrace, ma neanche impanarci i bambini fischiettando allegramente. Con mio figlio, in particolare, ho scelto di non usare il talco per l’igiene quotidiana, ma di limitarne l’uso a sporadici casi di effettiva necessità – come le sudate epocali di questi giorni caldi e umidi (a proposito, se vi dicono che un neonato suda poco… non credeteci!) – e di applicarlo con cautela, “spalmandolo” con le dita (addio dunque alle mie amate nuvole bianche e profumate, sic!). Quando possibile, poi, preferisco sostituire il talco vero e proprio con polveri di origine vegetale, come l’amido di riso (ma si trovano in commercio anche la farina d’avena o l’amido di mais): ne esistono formulazioni in polvere fine pensate proprio per l’aspersione. Anche in questo caso, però, buona norma sarebbe cercare di evitare l’inalazione, non solo per i piccoli, ma anche per le mamme, i papà e i gatti. Soprattutto i gatti, che, loro sì, inalano già fin troppe schifezze ravanando nella lettiera. Ma questa è un’altra storia…
PS. Ringrazio la mia amica Roberta per aver ispirato (non ASPIRATO!) questo post.