Viaggiare non è soltanto un divertimento, un’occasione per spezzare la monotonia o riposarsi per qualche giorno. È il modo più efficace per migliorarsi, per comprendere che il nostro piccolo orizzonte è solo un frammento infinitesimo dell’immenso mondo in cui viviamo. Che le nostre abitudini, i gusti alimentari, le tradizioni, sono soltanto una delle tantissime opzioni possibili. Che i criteri con cui gli uomini considerano – e giudicano – la vita e il prossimo, il bello e il brutto, la moralità e l’onore sono quasi sempre discutibili, oltre che mutevoli nello spazio e nel tempo. Viaggiare insegna ad amare la diversità, a cogliere punti di vista altri, a conoscere le molte versioni della storia dell’umanità, ad essere curiosi, tolleranti ed empatici. Ed è per questo che viaggiare con i propri figli dovrebbe essere obbligatorio per legge (e di conseguenza molto meno costoso, ma questo è un altro discorso). Più invecchio e più me ne convinco.
Una premessa apparentemente fuori tema, ma che mi sembrava doverosa, visto il senso di questo post. Viaggiare con i figli è non solo possibile e bello, ma addirittura, concedetemelo, necessario. Però non è sempre una passeggiata. Costa fatica, pazienza, spese non preventivate e a volte anche una certa dose di stress. Affrontare trasferimenti, imprevisti, cambi di alimentazione, orari e clima con quelli che per definizione sono esseri abitudinari e non sempre ragionevoli (non che lo siano tutti gli adulti che conosco, beninteso!) può presentare delle difficoltà. Conciliare le proprie aspettative e desideri da adulto con le esigenze e le volontà di un bambino piccolo impone compromessi, cambi di programma e capacità di adattamento.
E se vi state chiedendo come faccia quel tale travel blogger ad affrontare con estrema nonchalance un volo per l’Australia con tre bambini in età prescolare (mentre a voi sembra stressante un viaggio di sei ore in autostrada); se vi sentite provinciali, incapaci, o sfigati, perché la vostra settimana al mare vi è sembrata a tratti faticosa, ma in rete avete visto definire “rilassante e assolutamente adatto a famiglie con dei bambini piccoli” un tour itinerante della Mongolia o un safari in Tanzania con pernottamenti in tenda, credetemi: la perfezione non esiste. Neanche nei trolley da cabina dei blogger più esperti.
Intanto: conta moltissimo l’esperienza. Viaggiando spesso con uno o più bambini si impara a prevenire, o a gestire, le eventuali difficoltà. Ci si abitua (o rassegna, a seconda dei punti di vista) a modulare le proprie aspettative, a prevedere, o se serve improvvisare, un piano b. A dare per scontato che il viaggiatore piccoletto potrebbe non gradire il programma del giorno, o non essere in grado di rispettare i tempi, per quanto flessibili, che avevamo fissato. Potrebbe non avere alcuna voglia di lasciare la spiaggia all’ora stabilita, di restare seduto in aereo con le cinture allacciate, di visitare il tale acquario o dormire in una certa camera. Potrebbe ammalarsi, e non avere la stessa capacità di un adulto di sopportare il fastidio e andare avanti. E allora bisogna negoziare, pazientare, spiegare. Fare compromessi, concessioni, cambiare itinerario o destinazione. Talvolta rinunciare a cose a cui tenevamo moltissimo, o addirittura, tornare a casa prima del previsto. Inconvenienti che capitano anche nei viaggi per soli adulti, certo, ma è innegabile che un bambino piccolo sia più suscettibile di contrattempi, malanni o leggereo resistenze.
È in questo senso che un viaggio con i propri figli, spesso, viene raccontato come “perfetto” anche se tecnicamente non lo è. Forse non vuol dire che i travel blogger non debbano affrontare intoppi e fatiche, ma che, più semplicemente, abbiano imparato a metterli in conto.
Un genitore che viaggia ha la responsabilità del benessere oltre che della sicurezza dei propri figli. Come a casa, ovvio. Ma in condizioni straordinarie e spesso imprevedibili, in situazioni sempre mutevoli e sconosciute, come quelle tipiche del “viaggio”, le cose possono talvolta complicarsi. Capita di innervosirsi, o preoccuparsi, o litigare. Certo. Anche nelle migliori famiglie di viaggiatori seriali. Anche i frequent flyer più disinvolti, ci scommetto, avranno sperato almeno una volta che il volo finisse in fretta, perché non sapevano più come intrattenere un bambino stanco o annoiato, e magari un tantino molesto. Anche le coppie di backpackers più zen avranno discusso, ogni tanto, su come convincere la prole esausta a fare la doccia dopo un pomeriggio di giochi su una spiaggia oceanica. Anche ai viaggiatori più avventurosi sarà successo di dover rinunciare all’escursione più desiderata perché il loro piccoletto si era svegliato col mal di pancia, o semplicemente con la luna storta. Solo che non è la prima cosa che racconteranno agli amici, o, se scrivono un travel blog, ai propri lettori. Non è, probabilmente, quello che essi stessi ricorderanno come fondamentale, perché, scegliendo di viaggiare con i propri figli, hanno implicitamente accettato in partenza la possibilità del contrattempo, del ritardo, dell’imperfezione. Hanno imparato, anzi, a godere delle opportunità uniche che la presenza dei bambini fornisce: per vivere il tempo in modo più sostenibile, sperimentare in maniera più autentica la vita locale e incontrare la gente del posto con più facilità.
Mostreranno le foto in cui sorride tutta la famiglia, a bagno in un mare di cristallo o in cima a una duna dorata, racconteranno dei paesaggi che hanno attraversato e dell’itinerario che hanno percorso, delle mani che hanno stretto lungo il cammino e dei profumi esotici che hanno respirato. Ma difficilmente vi racconteranno della discussione scoppiata in auto per la pipì che scappava nel luogo meno opportuno o per il ciuccio dimenticato in albergo dal papà sfinito, che di notte aveva cullato il neonato per almeno tre ore consecutive. Diranno, semplicemente, che è andato “tutto bene”, e che il viaggio è “fattibile anche con i bimbi”. E non perché vogliano mistificare la realtà o millantare una perfezione che non può esistere. Ma perché davvero del loro viaggio conserveranno i ricordi più dolci e getteranno via, senza sforzo, spontaneamente, i momenti più frustranti o faticosi.
Perché un viaggio con i bambini è come la vita: non sempre facile, inevitabilmente imperfetto, ma sempre unico e meraviglioso.
(Tipo che quando abbiamo scattato questa foto ero seduta a riposare per 30 secondi perché Davide, che aveva un anno e mezzo e non aveva quasi dormito la notte precedente, aveva voluto stare in braccio alla mamma per quasi tutta la durata della visita al bellissimo, e ripidissimo, castello di Bran. E c’era un sacco di gente, io ero incinta di 4 mesi e ancora lo allattavo. Eppure dico solo la verità quando racconto che il viaggio in Transilvania resta uno dei più belli che abbia fatto in vita mia, e che mio figlio in quel castello si è divertito un sacco).