Masturbazione mentale in tema di demografia, migrazioni, istinti naturali e Calderoli
Il mio professore di Ecologia, uomo di scienza e di fede, sosteneva che, ragionando in termini di sostenibilità ecosistemica, ogni coppia di Homo sapiens fosse tenuta a generare almeno due figli. Solo in questo modo, infatti, si può evitare che le piramidi demografiche di una certa popolazione umana si sbilancino a scapito delle generazioni più giovani (in parole povere, scongiurare una società fatta prevalentemente di vecchi bacucchi). Qualche anno dopo, durante una lezione di Comunicazione Ambientale di un master che ho frequentato, il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi esortava noi giovani studenti a non riprodurci affatto, per non dare il nostro insopportabile contributo alla sovrappopolazione e allo sfruttamento non più sostenibile delle risorse naturali della Terra.
Due scienziati. Due ambientalisti. Due visioni, come capita incredibilmente spesso anche su questioni che dovrebbero essere affrontabili in modo “oggettivo”, diametralmente opposte. Molte volte mi sono chiesta chi avesse ragione, soprattutto prima di decidere di fare un bambino, e tutte le volte sono rimasta senza una risposta. Da una parte – non si può negare – siamo bestie, animate, come tutti gli organismi viventi, dall’incontrollabile istinto di continuazione della specie. Ognuno di noi, per quanto poligamo inveterato (o forse proprio per questo!) o allergico ai bambini, è geneticamente programmato da millenni di evoluzione per trasmettere il patrimonio genetico che custodisce in tutti i propri nuclei cellulari. I poeti lo chiamano amore, le riviste femminili orologio biologico, ma in fondo non è altro che una legge di natura, l’istinto più forte che esista dopo quello di sopravvivenza, o forse anche prima e al di sopra di esso (non saprei spiegarlo meglio di come fa Merlino a Semola ne La Spada nella Roccia). D’altra parte, sempre evolutivamente parlando, un po’ di strada, da quando saltavamo da un albero all’altro, ne abbiamo fatta (e qui resisto alla tentazione di riferirmi all’incommentabile Calderoli, perché è molto ma molto meglio così), tanto è vero che abbiamo imparato a domare tutta una serie di impulsi in nome di quella che con una parola abusata si definisce civiltà. Se dunque abbiamo smesso di andare in giro nudi, accoppiarci in pubblico e mangiare con le mani (almeno nella maggioranza dei casi, e qui mi sforzo ancora una volta di non chiamare in causa il nostro Calderoli), dovremmo forse smettere anche di generare bambini?
Il professor Russo, forse per un eccesso di romanticismo, trascurava, nel suo ragionamento, il fenomeno dei flussi migratori: a differenza di quello che accade per le altre specie viventi, quella umana non è più divisa in popolazioni. Con buona pace dell’ex ministro Calderoli, siamo come un’unica grande colonia felina, i cui membri sono per lo più liberi di accoppiarsi con chi gli pare e di vivere dove preferiscono (con le note, drammatiche e ancora troppo numerose eccezioni, ahimè) – un fatto questo che per inciso fa bene anche alla nostra variabilità genetica, oltre che alle piramidi demografiche. D’altro canto, ragionando in termini di demografia dei singoli stati, i bimbi migranti e le seconde generazioni non sempre riescono a compensare l’invecchiamento della popolazione (non in Italia, almeno). I bambini, in un certo senso, sono ancora “necessari”.
Però è vero anche che i figli si possono adottare, come trascurava di ricordare, nella sua provocazione post universitaria, il vulcanico (…) Tozzi. Oltre a salvare un bambino da un destino infausto, parlando in termini strettamente ambientali, l’adozione rappresenta una scelta per certi versi più sostenibile del fare un figlio “con la pancia”: non si affolla il Pianeta con un altro individuo, si condividono le risorse esistenti con un bambino già nato. Ma l’ansia di pesare troppo sulla Terra e di consumare il poco di natura che resta può arrivare a conseguenze così estreme? Se si ragiona in termini così freddamente numerici, non si rischia di avallare politiche aberranti in tema di controllo delle nascite o – la porto alle estreme conseguenze – di eugenetica (pochi, ma buoni)? Io, come ho detto subito, una vera risposta non ce l’ho. So che rispetto profondamente chi sceglie di adottare in assenza di problemi di fertilità o di salute, e spesso ho pensato che mi piacerebbe dare a Davide un fratello o una sorella che non vengano dalla mia pancia. Ma l’animale che è in me, poco più di un anno fa, ha deciso, non senza remore, di lasciare il suo DNA su questo Pianeta. Sperando che ne resti abbastanza anche per i nostri figli.