C’è qualcosa di mistico, in un bambino che dorme. Una specie di magia ancestrale, un sortilegio che sa di caverne e fuochi primordiali, di latte e calore e pellicce avvoltolate a coprire o a nascondere. Una condizione speciale, preclusa per sempre a chiunque abbia varcato le soglie della primissima infanzia.
Un bambino che dorme ferma il tempo dentro e fuori di sé. Lascia il mondo per un po’, per entrare in una dimensione altra, pura e vacua. Liquida, quasi eterea. Respira elettricità e memorie sconosciute a tutti gli altri, rivive – mi piace crederlo – la propria esistenza intrauterina, amniotica e galleggiante.
Un bambino che dorme smette di indossare il proprio corpo, diventa io, mente, pensiero distillato e cristallino. Diventa anima. Si ricongiunge ai suoi progenitori animali, abbandona definitivamente sovrastrutture e desideri, bisogni e speranze (le paure forse no, non del tutto, per lo meno). Varca le soglie della più spinta incoscienza.
Rinasce. Ricomincia. Tutto dimentica e tutto perdona.
Un bambino che dorme ti ricorda ogni volta che c’è sempre un’altra possibilità. E che si impara prima a sognare che a piangere e respirare.