Riflessioni sparse sulla (in)dipendenza dei figli (e dei loro genitori)

by Silvana Santo - Una mamma green

Crescere figli autonomi e indipendenti. Sembrerebbe questa la nuova priorità delle italiche madri, finalmente affrancate dal modello insopportabile di mamma chioccia che stira le camicie al pargoletto trentacinquenne o che domanda ogni giorno “Cosa hai mangiato?” al suo bambino in andropausa che vive all’estero da vent’anni. Non solo per i figli in questione e per le loro stesse madri, ma anche per quelli che un domani saranno i compagni e le compagne di questi rampolli e per i bambini che a loro volta si troveranno a generare.

E però. A volte mi sembra che, in un perfetto stile italiano che non conosce mezze misure (e dire che la storia di in medio stat virtus l’abbiamo inventata noi…), rischiamo di passare all’eccesso opposto. O almeno questa è la sensazione che a volte mi assale dal mio umile e parzialissimo osservatorio di madre che legge e ascolta un po’ di altre madri.

L’indipendenza dei figli diventa in qualche caso una specie di mantra ripetuto allo sfinimento, un traguardo da raggiungere a marce forzate e un terreno di confronto sul quale sbandierare risultati e conquiste. Come se l’unica cosa che conti sia imparare prima degli altri a dormire da soli, mangiare da soli, allacciarsi le scarpe da soli, fare a meno del seno, del ciuccio, del biberon, del pannolino eccetera eccetera.

Niente di male, per carità. E lo dice una che fa della propria autonomia una questione di vita o di morte, che chiede aiuto solo quando è ormai al di là del baratro e che delega qualcosa a chicchessia soltanto se costretta da forze incontrovertibili. Però io non riesco a fare a meno di pormi certe domande, destinate – come quasi tutte quelle che mi faccio – a rimanere probabilmente senza risposta.

Non siamo forse tutti dipendenti da qualcosa o da qualcuno, ad ogni età e a prescindere dal nostro carattere? C’è chi non può fare a meno di fumare, chi (a-hem), si rosicchia le unghie, chi non esce senza trucco, chi indossa esclusivamente scarpe coi tacchi, chi colleziona gioielli-borse-calzature-miniature di manga-suppellettili Ikea, chi è schiavo delle serie tv, chi della bilancia, chi dello smartphone e, insomma, avete capito. Ha senso pretendere una cosiddetta “autonomia” da bambini minuscoli, quando noi adulti siamo un concentrato di indipendenze e insicurezze?

I bambini non sono forse “dipendenti” in quanto tali? Nel senso che non sono autosufficienti, non possono in ogni caso badare a se stessi. Anche se sanno mangiare da soli senza sporcarsi prima di compiere l’anno di vita o se fanno la pipì nel vasino prima ancora di imparare a camminare. La verità, per quanto sia talvolta molto molto faticoso prenderne atto, non è forse questa? Se scegli di mettere al mondo un bambino, sai che dovrai fare i conti con un essere immaturo e incapace per anni di provvedere ai suoi bisogni primari. Si chiamano cure parentali, e non c’è metodo pedagogico o stile di maternage che possa risparmiarcele.

Nell’economia dell’esistenza di un individuo, conta davvero se è stato spannolinato a 18 mesi o a tre anni? Se ha iniziato a dormire “tutta la notte nel suo letto” a poche settimane di vita o in prima elementare? Se ha imparato a leggere all’asilo, o a dipingere a due anni? Sulla personalità e sul grado di “autonomia” di una persona adulta influisce realmente la durata dell’allattamento al seno o l’essere stato portato in una fascia o in un passeggino? L’essere stato addormentato con le carezze nel lettone dei genitori o accompagnato fino alla soglia della sua camera e poi lasciato solo?

Io non credo, onestamente. Forse perché sono stata una bambina, e poi anche una ragazzina, molto coccolata e per certi versi iperprotetta e troppo “servita”, ma sono diventata comunque una ragazza e poi una donna intraprendente e autonoma (nonché una studentessa molto precoce, se questo può essere in qualche modo significativo), andata via di casa a 21 anni.  Infine: ha senso che a pretendere una precocissima autonomia dai propri figli siano genitori spesso – non sempre e non del tutto per scelta propria, per carità – ancora profondamente dipendenti dai propri “vecchi”? Non è un po’ contraddittorio, per quanto si riveli spesso una scelta obbligata o quasi, tentare di insegnare ai propri bambini a cavarsela “senza mamma e papà”, affidandoli sistematicamente alle cure notturne, domenicali o agostane della propria mamma e del proprio papà (che intanto hanno 60/70 anni, per inciso)?

Proprio noi, generazione di eterni figli di famiglia, incapaci (o impossibilitati, in qualche caso) di cavarcela senza l’aiuto – logistico, morale, economico – dei nostri genitori; proprio noi, abituati a considerare normale il pranzo della domenica a “nonni alterni” o la vacanza estiva insieme ai nonni babysitter; proprio noi, per cui non c’è niente di strano se hai 35 anni e vivi ancora con mammà – che cucina, pulisce, lava, stira e toglie la polvere dalla tua “cameretta”; proprio noi che “dopo il parto mia madre viene a stare da noi per qualche settimana, perché io proprio non ce la faccio a stare da sola col neonato”. Proprio noi siamo all’improvviso ossessionati dalla precoce “indipendenza” dei nostri figli?

Paradosso insanabile o consapevolezza dei propri errori?  Non è che la storia del “renderli autonomi” celi inconsapevolmente la necessità di alleggerire il peso incessante di quelle cure parentali così onerose dicendoci che lo facciamo “per il loro bene” (e non perché essere genitori è la cosa più faticosa che esista)?

Non ci sarebbe niente di male, eh! Però almeno diciamoci le cose come stanno.

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11 Commenti

alessandra 13 Ottobre 2014 - 12:33

è inevitabile non farsi due domande dopo aver letto il tuo post, perché la tua riflessione è più che giusta soprattutto se rapportata al periodo storico che stiamo vivendo.
io sono figlia unica, e non nego che questa “condizione” mi abbia favorito in tante occasioni, però nello stesso tempo la preoccupazione principale dei miei genitori era stata a loro volta quella di rendermi una persona indipendente, nel senso del “cavarmela da sola”…mi hanno sempre insegnato questo, sin da quando ero piccolina, in maniera a volta anche abbastanza rigida, però col senno di poi posso solo dire che questo loro atteggiamento mi ha aiutata ad affrontare la vita, ma soprattutto le delusioni, in maniera forte e costruttiva.
ora che sono io diventata mamma di un bimbo di 8 mesi, mi rendo conto di fare la stessa cosa che stanno facendo i miei, sto cercando di rendere “indipendente” mio figlio, ma non perché non voglio esserci nella sua vita, anzi, ma perché vivo nel sacro terrore di tirare su il classico “mammone” che a 30 anni si fa fare ancora il bucato dalla mamma, o che non ci pensa proprio ad andare a vivere da solo nonostante se lo possa permettere…ecco io non voglio arrivare ovunque per mio figlio, ci voglio essere e lo voglio aiutare se in difficoltà, ma è importantissimo secondo me che lui se la sappia cavare da solo…e se io dovessi venire a mancare che succederebbe?
proprio per questo cerco di chiedere aiuto ai nonni il meno possibile (e per inciso non è che si “scapicollino” per darmelo questo aiuto…soprattutto mia madre…) insomma anche se non posso negare che all’inizio subito dopo il parto, questo aiuto risicato di mia madre mi ha fatto soffrire abbastanza, ora cerco di fare quello che ho sempre fatto nella vita…provo a cavarmela da sola, perché so da sempre che l’unica persona sulla quale si può contare per davvero siamo noi stessi.
mi rendo conto che il mio è un pensiero duro però anche vedendo appunto questa società piena di adolescenti che fanno gesti estremi per problemi che per carità durante l’adolescenza sembrano insormontabili ma che si possono risolvere, io mi chiedo sinceramente se questa “oppressione” e questo senso di protezione estremo nei confronti dei propri figli non sia controproducente….
spero solo che mio figlio sia abbastanza forte da poter affrontare la vita, questo è il mio unico desiderio

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Sara 13 Ottobre 2014 - 15:53

bel post come sempre… francamente non avevo pensato mai al mio ruolo di mamma come volto a rendere mia figlia indipendente.. mi spiego meglio.. il mio modo di essere mamma è fatto di osservazioni.. cerco di capire, osservandola, cosa mia figlia può essere in grado di fare da sola e cosa invece no.. anche per la parte emozionale della sua crescita: se mi rendo conto che, stimolandola, potrebbe riuscirci o le farebbe piacere farlo da sola, allora faccio un passo indietro o la coinvolgo in modo tale da renderla parte di un qualcosa (caricare la lavatrice, stendere i panni, fare un puzzle, ecc.).. quando invece mi rendo conto che non è pronta per affrontare qualcosa, allora intervengo a sostegno, cercando di spiegargliela e di fargliela capire… e poi sarà lei a decidere come e quando vorrà farla… questo è il mio modo di renderla indipendente… e confesso che alle volte mi spiace vederla già autonoma su determinate cose perchè è bello potersela coccolare sempre un po’ di più di quanto già non si faccia… poi sono convinta che non ci sia una ricetta e che ogni bambino è, come ogni adulto, un essere a sè stante.. vero è che come genitori abbiamo, a mio paprere, il dovere di riconoscere e conoscere i tempi dei nostri figli e della loro età e non permettere cose che oggettivamente sono assurde e li penalizzerebbero davvero nella vita (tipo vivo a casa di mamma e papà perchè fa comodo… anche se ho 40 anni) sono queste le scelte che influenzeranno il loro destino, non se ti do il ciuccio o meno o se ti porto nel marsubio o in braccio… almeno questo è il mio pensiero…

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chiara 13 Ottobre 2014 - 16:02

Forse autonomia significa, più che sapersi allacciare le scarpe da soli a 3 mesi e togliere il pannolino a 5, imparare insieme alla propria mamma (o papà), al momento giusto, a cucinare un uovo al tegamino, a non andare nel panico se si presenta un problema, ma risolverlo con razionalità, a non aver bisogno dell’approvazione altrui per essere se stessi, a saper stare con la propria solitudine, a vivere con altri dando il proprio contributo attivo.
In questo senso la parola autonomia assume un fortissimo valore educativo, che dipende proprio dai genitori.
Chiara

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franca 13 Ottobre 2014 - 17:21

ciao a tutte..leggendo i post ho avvertito la preoccupazione che rendere autonomi i propri figli equivalga a poterli coccolare di meno o cmq ad allontanarli prima da un rapporto affettivo con i genitori…non è così…l’autonomia è indispensabile perchè i nostri figli devono poter credere in se stessi, sapere di potercela fare o capire il loro limite, impegnarsi e mantenere l’ impegno,cavarsela da soli …naturalmente a seconda dell’ età;certo non si può pretendere di insegnargli a fare la pipì nel vasino a un anno o non è giusto farli mangiare da soli e pretendere contemporaneamente che non si sporchi!!! Ma questa non è autonomia questa è eccessiva pretesa! Dovremmo capire quando e a cosa il cucciolo è pronto…mio figlio si allacciava le scarpe da solo già all’asilo con tanto di fiocco ma gli ho letto le favole tutte le sere per tutte le elementari! Mia figlia si vestiva da sola e sceglieva lei i suoi vestiti…ma lo stesso voleva giocare con me! Forse sarebbe bene distinguere l’ autonomia e la dipendenza affettiva…il difficile per me è stato lasciarli andare “affettivamente” quando me lo hanno chiesto (naturalmente non a parole) perchè eravamo entrambi pronti a questo passo…per la verità io non ero affatto pronta ma mi sono costretta 🙁 a fargli vivere le proprie esperienze…chiudo qui sennò divento troppo pesante 😉 ciao ciao

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angela 13 Ottobre 2014 - 21:35

Personalmente credo che i bambini vadano preparati ad essere indipendenti, stando loro vicino, supportandoli e aiutandoli, ma soprattutto rispettando i loro tempi. Quei genitori che vogliono figli indipendenti a 2/3 anni mi sembra che si diano delle scusanti per non doverli seguire troppo, perché, si, è pesante è difficile.

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Mamma Avvocato 14 Ottobre 2014 - 09:33

Come al solito, riflessione interessante.
Indipendenza e autonomia, però, secondo me non vanno intesi come “saper fare certe cose da solo”. Per quello ognuno hai i suoi tempi e se è vero che vanno stimolati, è anche vero che di solito i bimbi, o perlomeno il mio, ti fanno capire chiaramente quando sono in grado o no.
Crescerli autonomi secondo me significa aiutarli a stare bene anche solo con se stessi., a vivere i momenti di solitudine o difficoltà trovando anche o solo in sè il modo per trascorrerli bene…non so se mi sono spiegata.
Ecco, io provo a fare questo, perchè mi rendo conto che io lo sto imparando ancora adesso e mio marito lo fa da sempre e secondo me, anche con gli altri, sta meglio lui, perchè “basta a se stesso”, sta bene con se stesso.

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Calzino 14 Ottobre 2014 - 09:43

Penso sempre con malinconia al momento in cui Pietro non vorrà più dormire nel lettone con papà e mamma, al giorno in cui non dovrò più corrergli dietro per cambiargli il pannolone (birichino!). Altro che fretta… vorrei fermare il tempo e godermelo all’infinito, questo mio cucciolo bello che sta diventando grande alla velocità della luce.

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moscabianca 4 Novembre 2016 - 23:30

Io sto vivendo una grave crisi familiare (con la famiglia.dal mio.compagno), in quanto.ho rifiutato la.dinamica di aiuto-dipendenza totale imposta da mia.suocera. mi occupo da sola di mia figlia chiedendo il minimo indispensabile e per questo.sono accusata di egoismo, di viziare.l.bambina e renderla.mammona e poco autonoma. Aggiungo che sono circondata da altre mamme anche più giovani di me che delegano completamente.la gestione dei figli ai nonni, con la scusa che “sia educativo” e ” che i nonni ne abbiano bisogno”. Vedo tanto, tantissimo egoismo in questo tipo di scelta, e sopratutto un esempio fuorviante per i nostri bambini, di mancata assunzione di responsabilità e perpetrazione di meccanismi, deleteri, di dipendenza e compiacenza genitoriale…E poi ci parlano di distacco.

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Silvana - Una mamma green 6 Novembre 2016 - 16:51

Io sono sicura che tu sai cosa è il meglio per voi. L’importante è che tu e il tuo compagno siate uniti e concordi, e che i nonni non vengano naturalmente esclusi dalla vita della nipotina. Per quello che serve, io la penso esattamente come te. Coraggio!

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giulia rivoli 7 Novembre 2016 - 12:25

purtroppo laddove l’unica “partecipazione” che viene concepita, è quella di una totale dipendenza e presenza eccessiva, è difficile trovare un equilibrio. “Culture” familiari malate, che non prevedono compromessi, sconti e mezze misure.

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andreacatalanobz 10 Gennaio 2018 - 14:26

Secondo me sarebbe utile vedere la cosa in prospettiva storica: cioé nella societá rurale e contadina se uno non si sposava, restava quasi sempre a vivere con i genitori tutta la vita. Per cui la nozione dell’andare via di casa presto e in ogni caso é un fenomeno relativamente recente e inedito nella storia dell’uomo. Ragione per cui il vivere a lungo con i genitori potrebbe semplicemente essere il riemergere di una memoria storica del modo in cui l’uomo per lo piú ha sempre vissuto.

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