Fa caldo di quel caldo che ogni anno mi chiedo come sia mai possibile che torneremo ad avere freddo tra appena qualche mese.
Ascolto musica da adolescenti, forse per prepararmi in qualche modo all’adolescenza dei miei figli, che immaginavo più lontana nel tempo e che, invece, mi sembra incipiente in un modo che mi coglie sorpresa, più che impreparata. Davo per scontato che, tra gli anni della piccolezza estrema e quelli della preadolescenza, ci si potesse godere una lunga fase intermedia di infanzia ancora tenera e accondiscendente, ma più autonoma e ragionevole. E invece mi sa che mi sbagliavo (ma quanto poco dura, l’infanzia, oramai?).
Ho vissuto con ansia indicibile una piccola complicazione del mio intervento di endometriosi (attualmente ancora in corso, ma in fase di progressiva risoluzione). Mi sono sentita bene quasi da subito, eppure ho sprecato notti intere a terrorizzarmi leggendo cavolate su internet, ho dubitato del parere dei medici, ho assillato persone care coi miei timori. La verità è che la prospettiva di tornare chiusa in un ospedale, o malauguratamente di finire ancora sotto i ferri, semplicemente mi terrorizza. È sempre stato così, per me, e probabilmente sempre lo sarà: lasciatemi sopportare il dolore e la fatica fisica e vi sorprenderete della mia forza. Ma le preoccupazioni, l’incertezza e i sensi di colpa mi gettano ogni volta in ginocchio, in un mare di lacrime.
La quarantena sembra un ricordo lontano. Come un sogno avvolto nelle nebbie. Se penso che siamo rimasti chiusi in casa, ventiquattr’ore al giorno, per due mesi interi, mi sembra semplicemente impossibile. Come se non fosse capitato davvero, non a noi. Forse è perché dall’inizio della fase 2 sono accadute miliardi di cose, belle e brutte. Forse perché la vita alla fine è più forte di tutto, e si riprende veloce quello che le spetta.
Il pensiero dell’autunno che incombe mi appare dolce come miele e aspro come succo di limone. Mi mancano le mie candele accese, le tazze fumanti e le coperte sul divano. Ma mi preoccupa quello che sarà, l’anno scolastico pieno di incertezza, il rischio che questa nuova malattia torni a pungere più forte e a uccidere.
Giorno per giorno. È così che sto provando a vivere. E vi giuro che per me è un cambiamento radicale, una forzatura immane a quella che è la mia profonda natura. Giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, avventura dopo avventura.
L’agosto che mi attende sarà, per la prima volta dopo anni, un agosto italiano. Il che, anche se mi sto sforzando di vederla come una bella opportunità, non riesce a perdere il sapore amaro del ripiego. Andare all’estero, per quanto possa suonare puerile o snob, mi fa sentire viva. È la cosa che mi fa stare meglio al mondo, disseta la mia inestinguibile curiosità, mi consente, confrontandomi con la diversità, di arricchire la mia vita di una ricchezza inestimabile. Ma quest’anno va così, per ragioni che vanno anche al di là della pandemia e dei relativi rischi.
Luglio è stato un mese molto dolce, per me, in anni lontani. Un mese dedicato interamente agli amici, ai libri e al mio amato Tour de France. Da qualche anno si è fatto più sudato, più ostile. Un po’ ingrato. Ma ho cercato di viverlo anche stavolta con la massima intensità, nel bene e nel male. Per non lasciare nulla di “sprecato” alle mie spalle. Per accogliere l’agosto che verrà senza rimpianti.
2 Commenti
Che bel post…mi piacciono i post ricchi di emozioni.
Comunque potresti andare in un posto italiano particolarmente lontano da te. Mai stata in Friuli? Sono di parte, è la mia terra, ma sono sicura che ti piacerebbe 🙂
Mi leggi nel pensiero, il Friuli è in cima ai miei desiderata per l’Italia! Ma questo non è l’anno giusto, per una serie di ragioni. E poi ho bisogno di studiarlo per bene, questo viaggio. E a questo punto ti chiederò!