Qualche tempo fa, Davide mi ha chiesto di prenderlo in braccio per riuscire a scorgere qualcosa che era troppo in alto per lui. Non ricordo cosa ci tenesse tanto a guardare, ma questo adesso non ha nessuna importanza. Il punto è che ho fatto fatica a sollevarlo, più di tutte le volte precedenti, e ho realizzato che un giorno, nemmeno troppo lontano, lo prenderò in braccio per l’ultima volta, senza sapere che sarà stata l’ultima. È struggente, questa transitorietà di gesti che pure sono così familiari e quotidiani per una parte della nostra vita. L’ineluttabilità del tempo che passa, l’irreversibilità dei cambiamenti che avvengono sotto i nostri occhi, senza che ne abbiamo reale coscienza. L’imprevedibilità completa di quello che sarà, pur nell’ambito di un cammino comune a miliardi di esseri umani sulla Terra.
Essere madri e padri è un’esperienza intensa e totalizzante al punto da farti perdere di vista il senso della prospettiva. Quello che stai vivendo è talmente grande, e impegnativo, e assoluto, che in qualche modo sembra destinato a durare in eterno. E invece tuo figlio non resta neonato che per un pugno di settimane, solo in apparenza “interminabili”. E diventerà grande al punto che un giorno, senza alcun preavviso, non riuscirai più a prenderlo in braccio, ammesso che lui te lo chieda ancora.
Mi chiedo come abbia fatto a estinguersi quel tempo così ovattato che sembrava non passare mai. Che ne sia stato di quei pomeriggi lentissimi e di quelle notti senza alba, dove sia finita la me che guardava il grande orologio della cucina a intervalli che le sembravano eterni, per scoprire che invece erano trascorsi appena dieci minuti. Forse avrei dovuto vivere diversamente la prima infanzia del mio primogenito. Sprecare meno energie a occuparmi di cose trascurabili, difendere me stessa (e quindi mio figlio) da tanta sofferenza inutile, evitabile, senza senso. Forse avrei dovuto essere più consapevole, più matura, più libera. Forse. Adesso non ha alcuna importanza.
Sono sicura, se non altro, di aver preso in braccio mio figlio tutte le volte che ne ha avuto bisogno, o che ne ho avuto voglia io. Verrà il giorno in cui non riuscirò più a tenerlo tra le braccia, e sarà strano rendersene conto, inevitabilmente a posteriori. Ma quel giorno, mi auguro, potrò guardare indietro e ripensare a tutte le volte in cui l’ho sollevato e mi sono fatta carico del suo peso oltre che del mio. Potrò guardare indietro a cuor leggero, senza rimpianti.
2 Commenti
Condivido le tue riflessioni tutte, apprezzo tanto la tua analisi e il tuo ‘cuore di mamma’
A.
Veramente sono d accordo….è vero ed ancora non.ci avevo pensato mah! ….il mio.primogenito ha gia 7 anni in effetti ha trasformato la richiesta di stare in collo da chiedermi momenti di coccole distesi sul divano…..che dolcezza infinita💖