Ti ho guardato darmi le spalle, lo zaino troppo grande per la tua schiena dritta di bambino. L’andatura ancora puerile, incontenibile, che diventa saltello ogni cinque o sei passi, senza che tu te ne accorga e possa in alcun modo evitare alle tue gambe quel guizzo infantile di insubordinazione e follia.
Ti ho guardato crederci, entusiasmarti e fremere nell’impazienza. E ti ho spiato esitare dinanzi all’ignoto. Stemperare l’ansia con la curiosità, nel dilemma tra andare e restare che da sempre attanaglia gli umani dotati di senno e di cuore. Nel dilemma che da tutta la vita toglie il sonno a tua madre. Ti ho guardato avere voglia e timore della stessa cosa, che poi equivale a dire vivere, perché questa è la vita, dopotutto: la paura in lotta permanente con la volontà.
Ti ho guardato darmi le spalle, eppure voltarti con lo sguardo, con la mente e col pensiero. Mi sono chiesta per quanto tempo ancora avrò su di me tale benedizione e tale condanna: essere ciò a cui guarderai ogni volta che ti servirà un incoraggiamento. L’orizzonte conosciuto, la rappresentazione tangibile delle tue origini, l’incarnazione di quanto ti è noto, ti è benevolo e rassicurante. Mi sono chiesta fino a quando ti basterà, e dove potrò mai volgere lo sguardo io, quando non sarà più necessario tenerlo fisso nel tuo.
Ti ho guardato percorrere una distanza risibile, ma che traccia in pochi passi tutta la fatica, l’amore, l’impegno di questi anni passati accanto a te. Mi sono chiesta dove siano finite le migliaia di ore trascorse finora a cullarti. Quelle in cui non c’era spazio che per l’attesa, e tutto sembrava dover cominciare e finire in un abbraccio dolcissimo ma un po’ soffocante. Un abbraccio che invece si è sciolto, lasciandomi traboccante e svuotata nello stesso tempo.
Ti ho guardato andare incontro a un avvenire di domande. Le tue, a cui io spesso non saprò rispondere, le mie, a cui prima o poi opporrai il più ostinato dei silenzi, le domande alle quali troveremo necessariamente risposte diverse, ognuno la propria, personale e insindacabile. E non sempre sarà facile accettarlo, spero più per me che per te.
Ti ho guardato andare. E, come sempre, è stato atroce e bellissimo, come molte delle cose che hanno a che fare con l’essere madre. Con l’essere tua madre.
Ti ho guardato darmi le spalle. Come sempre, e per sempre. È il mio destino ineluttabile. Il mio paradiso e il mio ergastolo.
Buona fortuna, figlio. Ho amato la scuola come poche altre cose nella vita, spero davvero che possa essere lo stesso per te.
8 Commenti
Brividi! Come sempre…
<3
Ciao mammagreen, sono una tua affezionata lettrice… Davide è anticipatario? Mi interesserebbe conoscere cosa ti ha spinto a mandarlo a scuola un anno prima. Io ho una figlia nata come Davide nel 2013 (gennaio) e mi sono interrogata molto sulla questione, alla fine ho optato per farla iniziare il prossimo anno scolastico con i suoi coetanei. Con stima,
Vi
Ciao! Sì, Davide ha anticipato. E confesso che la decisione mi ha tolto il sonno a lungo. Ci siamo convinti perché tutti i suoi amici della materna sarebbero passati alla primaria (dove vivo io molti anticipano), e non volevamo che lui si sentisse “inadeguato” rimanendo da solo tra i bambini piccoli. Ha fatto comunque 4 anni di scuola d’infanzia. Sono comunque un po’ preoccupata, per quanto lui ora sia letteralmente entusiasta. Speriamo che vada tutto bene…
Ho letto e riletto questo articolo.
Meravigliosamente vero. Con grazia e forza allo stesso tempo hai detto quello che tutte noi mamme sentiamo…
Che bel complimento, grazie di cuore. 🙂
Capita anche a me di provare queste emozioni, forse perché sono un padre un po’ “atipico” e sono probabilmente felice di esserlo. In ogni caso complimenti!
[…] primo figlio è nato all’inizio di febbraio del 2012 e ha concluso in questi giorni il suo primo anno di scuola primaria, frequentato quindi da alunno anticipatario. Una scelta, quella di fargli cominciare le elementari […]
Hai interpretato il mio pensiero..Grazie mille