Svariati chili in esubero (che in origine erano, per lo più, torte Sacher, strudel di mele e cocktail al sambuco).
Una figlia che “gattona”. O meglio che si sposta carponi come un primate, poggiando in terra una natica e il piede opposto. Una specie di adorabile Gollum paffuto.
La convinzione che “un altro mondo è possibile”. Anzi, esiste già, e si chiama Trentino Alto Adige.
Una piacevole quanto effimera abbronzatura da montagna.
Un figlio che chiama “casette” le cabinovie e “divani” le seggiovie. Che parla di foreste e di montagne (“Alte!!!”) in termini entusiastici, è convinto che a Molveno ci sia un mare chiamato Lago e che chiede ogni tanto di andare a vedere l’orso o il castello.
La necessità ineluttabile di un’auto col tetto trasparente.
Un brick da tre litri di succo di mela.
Diversi chili in eccesso, di cui ritengo parzialmente responsabile il cameriere (calabrese) Donato.
Una imbarazzante ciabatta di feltro gigante chiamata “Pantofolone dell’amicizia”, che troneggia ormai nel mio ingresso, appesa al muro ad altezza gatto-proof, come contenitore delle ciavatte familiari.
La ancora più radicata certezza che le vacanze “stanziali” e tutto relax non fanno per me.
Il rinnovato rammarico per la carriera scientifica che non ho avuto e che mai intraprenderò.
Una sottile voglia di mare.
Le spoglie mortali del mio Kindle Keybord (ma non voglio parlarne, perché fa ancora troppo male).
La nostalgia bruciante per l’inquinantissima Spa dell’albergo.
L’ansia per l’autunno che incombe.
La malinconia definitiva e incurabile per gli amici perduti.
La voglia di impegnarmi in un nuovo progetto già in cantiere. E non si tratta di un altro figlio, ci tengo a dirlo a scanso di equivoci.
Un leggero senso di colpa per avere lasciato Artù a casa da solo (per quanto accudito brillantemente da nonni e zia).
(Quattro o cinque chili da smaltire. Ma forse lo avevo già detto.)