Lo sapevo, lo sapevo bene. Lo sapevo fin da prima che nasceste. Non sareste mai stati miei, o al limite lo sareste stati per un momento ineffabile e illusorio. I figli si mettono al mondo perché è al mondo che appartengono, ed è nel mondo che devono stare. Lo so adesso e l’ho sempre saputo. Ma non starò a dire, come ho letto o sentito spesso con una sicurezza tanto granitica e ostentata da sembrarmi finta, che darvi al mondo non faccia male, che sia un fatto semplice, addirittura naturale, che sia istintivo. Non lo è, non per me. Era bello tenervi dentro, nascosti allo sguardo degli altri ma ben presenti a vostra madre, e a lei soltanto, in ogni secondo del giorno e della notte. Era faticoso, atterriva, a tratti faceva male, ma riempiva il corpo, l’anima e le ore vuote. Era bello parlare una lingua cifrata che nessun altro poteva comprendere, riconoscere parole, gesti, vagiti, come in un alfabeto non verbale che noi stessi andavamo codificando un giorno dopo l’altro. È stato bello, per un tempo che mi è parso infinito e invece scopro essere già agli sgoccioli, rappresentare il vostro riferimento primo, e talvolta anche l’ultimo. L’orizzonte metaforico entro cui vi muovevate, a vostro agio, senza paura.
È stato come se, per la prima volta nella mia vita, io davvero non fossi mai sola.
Non fingerò che finora non sia stato gratificante sentirsi speciali ai vostri occhi, più di chiunque altro al mondo. Non ho intenzione di mentire, di censurare i miei sentimenti, perché non c’è ragione per cui io debba farlo. Non c’è colpa, non c’è vergogna in quello che sento. Si fanno i figli per l’istinto animale di lasciare al mondo qualcosa di noi, ma si fanno anche per regalare a se stessi un’esperienza prossima alla creazione. Un piccolo, quotidiano, delirio di divina onnipotenza del quale in pochi, tra i genitori, sono consapevoli, ma al quale in pochissimi riescono davvero a sottrarsi.
Non andrò raccontando, soprattutto a me stessa, che mi lascia indifferente vedervi diventare, ogni giorno di più, qualcosa che è altro da me, che da me si differenzia e prende distanze sempre maggiori. Lascio alle madri più illuminate, più contemporanee, più consapevoli di me questa narrazione edificante dell’amore gratuito, per pretesa o autentica che sia. Lascio ad altre il merito di resistere sempre e comunque alla delusione dell’aspettativa e alla tentazione della malinconia. Non tacerò la verità su quanto sia difficile riconoscere i segni estranei che il mondo sta già lasciando su di voi. Le parole che avete udito da altri e che andate ripetendo senza che io le capisca, gli scherzi da cui sono esclusa, le abitudini che avete acquisito senza condividerle con me. I bisogni che altri inducono in voi, le paure e i desideri che il mondo sta già seminando nei vostri piccoli cuori.
Il mio materno delirio di onnipotenza, se mai è cominciato, non è durato che un pugno di anni. La condizione intima ed esistenziale dell’umana solitudine si è presto ristabilita in seno alla mia vita. Io sono io e voi siete voi. Siete i miei figli, siete stati edificati con materia rubata al mio stesso corpo, col calcio e il fosforo e il ferro dilavati settimana dopo settimana dal mio stesso organismo. Alcune delle cellule che faranno parte di voi tutta la vita provengono direttamente dalla fabbrica del mio ventre. Siete stati nutriti dal mio sangue e dal mio latte prima, dal mio esempio traballante poi. Vi ho letteralmente costruito, un pezzo alla volta, per mesi e anni. Siamo plasmati della stessa materia, eppure voi siete voi e io sono io. E tutti noi apparteniamo al mondo.
Una volta ho letto che alcune cellule fetali restano per decenni dentro l’organismo delle rispettive madri. Microchimere, le chiamano. Come se io fossi diventata un essere mostruoso che in un certo senso è fatto anche di voi. Forse è questo il punto. Forse il punto è che voi non mi appartenete, ma sono io che oramai appartengo ai miei figli, in un legame che è un miracolo ma anche, non me ne vogliate, una specie di ergastolo sentimentale, morale e genetico. Farò quel che deve fare una madre, ho già cominciato a farlo dal momento stesso in cui siete nati. Darvi al mondo è quello che mi tocca, in qualche modo che è solo mio e diverso non può essere. Ma non crediate, nemmeno per un momento, che non sia maledettamente difficile.