Negli anni ’80 le luci di Natale erano file di piccole lampadine affusolate, a Napoli le chiamavano eloquentemente “pisellini”. Erano luci a incandescenza, erano di vetro, e soprattutto erano in serie. Questo vuol dire che dopo dieci minuti di accensione diventavano bollenti, e che se una sola lampadina si fulminava, era da buttare l’intera sequenza. Se una serie di luci di Natale arrivava funzionante fino alla Befana, era il primo miracolo dell’anno nuovo da registrare. Il prodigio del pisellino indistruttibile.
A Natale, negli anni ’80, sognavamo in gran parte gli stessi giocattoli che trent’anni dopo aspettano i nostri figli. Il Pisolone ed Emiglio. Sbrodolina e i Mini Pony. Solo che a noi raramente li compravano per davvero, o al massimo ci infiocchettavano sotto l’albero le versioni tarocche e a buon mercato, che non venivano dalla Cina ma dalle fabbriche semi-abusive di San Giuseppe Vesuviano. Anche gli spot in tv erano gli stessi di adesso, con quei jingle che ricorderemo fino all’ultimo sfiato della nostra vecchiaia. I giochi che ci compravano erano probabilmente pieni di ftalati e coloranti tossici, ma nessuno ci badava. Non esistevano Amazon e neanche i centri commerciali, per lo meno alle mie latitudini. Mi sa che i regali ce li portavano davvero Babbo Natale, Santa Lucia e la Befana (ai più devoti, Gesù Bambino), perché altrimenti non ho idea di come facessero i nostri genitori a rimediare per tempo esattamente i giochi che avevamo scelto noi guardando le pubblicità pomeridiane su Italia Uno.
A Natale, negli anni ’80, si mangiavano le stesse cose di adesso. Però nessuno stava lì a preoccuparsi di come fossero disposte nel piatto. L’importante, negli anni ’80, era che i pasti fossero abbondanti e saporiti. Si tirava fuori il servizio buono, la tovaglia rossa e al limite un candelabro d’argento. E questo bastava. Il coppapasta lo usavano solo nei ristoranti di lusso, e se qualcuno avesse fotografato il suo piatto di spaghetti prima di affondarci i rebbi con l’acquolina in bocca, semplicemente sarebbe stato preso per pazzo.
La vigilia di Natale, negli anni ’80, in tv davano sempre La Spada nella Roccia. Oppure Robin Hood. E io non me li sarei persi per nessuna ragione al mondo, anche se ero in grado di citare a memoria l’intera sceneggiatura. Ancora adesso, quando ripenso a Semola e Mago Merlino, mi vengono in mente il profumo di vongole e di anguilla fritta, mia nonna che si prepara per la messa di Natale, e le mie viscere un tantino in subbuglio per l’emozione della Notte in arrivo.
La musica di Natale, negli anni ’80, iniziava e finiva con Astro del Ciel e Tu scendi dalle Stelle (anche se qui a Napoli le si preferiva la versione originale in lingua locale, Quanno nascette ninno di Sant’Alfonso de’ Liguori). Al massimo si osavano un Adeste fideles in latino maccheronico e un Gingolbell in quell’inglese grottesco degli italiani di allora. E di adesso, in molti casi. Quelli dall’animo più indie rock si dovevano rassegnare alla pubblicità della Coca Cola, riproposta senza esitazione ad ogni dicembre, per un decennio buono. Lo Zecchino d’oro risuonava per interi pomeriggi, con i piccoli cantanti vestiti con gli stessi completi 012 Benetton che noi avremmo sfoggiato per il pranzo della festa e la messa di Natale, per chi ci andava. Negli anni ’80 Micheal Buble era ancora un bambino paffuto che probabilmente affrontava il gelo canadese in mezzo a un coro itinerante di coetanei. Ignaro che riarrangiando quelle vecchie cover sarebbe presto diventato multimilionario.
I mercatini di Natale, negli anni ’80, restavano una pratica esotica, per chi abitava dalle mie parti. Una tradizione del nord Europa, o delle località di alta montagna. Al sud si allestivano mostre di presepi più o meno artistici e più o meno artigianali, con le grotte disseminate di capitelli dorici e microscopici banchetti di pesce fresco. C’era sempre il pastorello lavativo, quello che poltriva indolente sul muschio secco, indifferente alla meraviglia immortale della Natività. Lo stereotipo del terrone disoccupato in versione natalizia.
Negli anni ’80 nessuno si sarebbe sognato di tirare fuori gli addobbi natalizi subito dopo Halloween. Negli anni ’80, nessuno sapeva cosa fosse, Halloween. Le strade e le case si addobbavano l’8 dicembre, e si sgomberava tutto la sera dell’Epifania. C’era qualcosa di davvero eccezionale, in quelle poche settimane illuminate a festa. Gli abeti luccicanti che sopravvivevano al 6 gennaio emanavano una vaga tristezza, come un biscotto stantio dimenticato sotto un divano.
Il Natale, negli anni ’80, era magico e a tratti malinconico. Opulento e ridondante, eccessivo. Eppure, in certi momenti, autentico ed emozionante. Il Natale, negli anni ’80, era un’overdose di luci, famiglia e cioccolato, che aspettavi per settimane ma poi ti lasciava un po’ nauseato. Come quando sai che fuori fa freddissimo, ma tu hai comunque bisogno di aprire la finestra e riempire la stanza di aria pulita. Era il sacro che si mischiava col profano, il falso che ballava il tango con la verità. Era l’amore, la solitudine, era compromesso e libertà. Il natale degli anni ’80, nel bene e nel male, era la vita, eravamo noi. Proprio come adesso.