Piove da ore. Piove forte e la mia casa brilla di luce artificiale. La mia casa. Nido e galera. Il gatto dorme imperterrito, mio figlio pure, e si lamenta nel sonno. Mentre il Mac ronza, sento i miei fianchi tirare nella divisa jeans-e-felpa che ormai tolgo solo per dormire. Una dieta, adesso, è fuori discussione. Ci manca solo che mi metta a mangiare sano. Fuori piovono acqua e terra su una settimana che sta per finire. Una settimana in cui la voce che ho sentito più spesso è stata la mia, mentre ripeteva più che altro parole come “pong”. Oppure “piove”.
Sono sei giorni che non parlo con qualcuno che non sia il gatto, mio figlio o suo padre. E i nonni, certo. Che sono davvero cari, ma, con tutto il rispetto, hanno almeno il doppio dei miei anni. E parlerebbero soltanto di Davide, naturale. Ah, poi c’è stato il giro all’Ikea, dove ho finanche chiesto informazioni a un’impiegata in camicia gialla. “Mi sono persa. Sa dirmi come arrivo all’Ikea dei piccoli, da qua? Pong”. Fuori, intanto, pioveva.