O meglio: gli effetti della pandemia sulla coppia con figli di cui faccio parte.
L’epidemia di Covid 2019 ha rivoluzionato le abitudini quotidiane di molte famiglie, inclusa la mia. Da quando è scoppiata l’emergenza, a lavorare da remoto siamo spesso in due, pranziamo molte volte tutti a casa e, in generale, passiamo decisamente più tempo assieme. Anche da quando la quarantena è finita, di fatto conviviamo per gran parte della giornata, coi nostri figli o, adesso che le scuole sono aperte, da soli. Cosa è cambiato, in concreto?
Farsi spazio
Prima di tutto, abbiamo dovuto rivedere completamente la distribuzione degli spazi. La mia famiglia vive in un appartamento di 65 metri quadri scarsi, non abbiamo un salone, né uno studio. In era pre-Covid, io lavoravo in una piccola postazione ergonomica ricavata in un disimpegno, costituita da una scrivania “incassata” in una libreria molto grande. Adesso, quello spazio è riservato a mio marito, che ha bisogno di una maggiore “privacy” perché, a differenza mia, è spesso impegnato in telefonate e videochiamate con i suoi colleghi.
E io? Sono finita a lavorare al tavolo della cucina col mio portatile, rinunciando anche al monitor fisso che utilizzavo in precedenza. Fino ad ora me la sono cavata, ma sto cercando di individuare una soluzione più confortevole.
Per Davide e Flavia, dopo le difficoltà che abbiamo avuto con la didattica a distanza, quando mio figlio era stato costretto ad arrangiarsi in qualche modo sul nostro comò, abbiamo organizzato la cameretta con due letti a soppalco che sovrastano due scrivanie grandi e comode, attrezzate con cassettiera e scaffali.
Sempre insieme: pro e contro
Ritrovarsi all’improvviso tutti insieme per intere giornate è stata una vera e propria rivoluzione, anche se noi eravamo già abituati a passare tanto tempo assieme, grazie al mio smart working e al lavoro di mio marito, che gli garantiva comunque un orario “sostenibile”. Per me è stato bello, e lo è tuttora, ritrovarsi a condividere tutto o quasi. Non sono una persona che ama particolarmente la propria solitudine. Personalmente, ho patito soprattutto alcune questioni pratiche, come l’organizzazione dei pasti, il disordine imperante, il bagno più spesso occupato. Ma non mi dispiace avere sempre compagnia.
L’opportunità di condividere il quotidiano con i papà
La vera opportunità di questa rivoluzione, almeno per me, è stata quella di poter vivere, per la prima volta da quando sono nati Davide e Flavia, una sostanziale e prolungata condivisione del quotidiano, con le fatiche e gli oneri di cui chi esce al mattino tutti i giorni per andare al lavoro non è mai del tutto conscio. Soprattutto per quanto riguarda la cura dei figli e la gestione delle faccende domestiche, essere costretti in casa può essere, per i padri, un bagno di consapevolezza, una terapia d’urto per aprire finalmente gli occhi su quanto “lavoro occulto” e carico mentale gravi silenziosamente sulle loro compagne, ogni santo giorno. E per le madri stesse può diventare l’occasione per una definitiva presa di coscienza e per esigere una redistribuzione dei compiti e delle responsabilità all’interno della coppia genitoriale. Non è un processo indolore, non lo è affatto. In casa nostra è un viaggio tuttora in corso e nei mesi scorsi ha comportato – non ho problemi ad ammetterlo – discussioni infinite, scontri, crisi e pianti. Perché scardinare un sistema impostato in un certo modo, basato spesso su automatismi inconsapevoli, è quasi come partorirsi di nuovo, come singoli e come coppia.
Il confronto non più rimandabile
Al di là dell’organizzazione familiare, convivere per 24 ore al giorno, o quasi, è stato per noi come ritrovarci all’improvviso di fronte a uno specchio enorme e straordinariamente sincero. Ha significato aprire gli occhi su verità che forse cercavamo di non vedere, fare i conti con le nostre divergenze, con approcci talvolta antitetici nell’educazione dei figli, nella gestione dei loro contrasti, delle richieste, dei “capricci”. Molti nodi sono venuti al pettine, alcuni problemi sono diventati non più procrastinabili. Il che, messa così, rappresenta una grande occasione per migliorare certe dinamiche e progredire come famiglia. Ma nel quotidiano, inevitabilmente, ha richiesto e richiede fatica, compromessi, dolore. Cose brutte urlate e incassate, cose necessarie taciute o negate.
Siamo ancora qua
Per adesso, dopo due mesi di quarantena e altri cinque di smart working quasi ininterrotto, siamo ancora qua. Nel nostro piccolo appartamento di città, che nel frattempo si è trasformato mille volte per venire incontro alle nostre mutate esigenze. Siamo ancora qua, con le nostre divergenze e le nostre affinità, che forse, in fondo, sono le stesse di quando, ormai due decenni fa, ci siamo sfiorati per la prima volta, incoscienti e ignari. Ancora poco più che bambini cresciuti. Siamo ancora qua a cercare di ricominciare ogni giorno, ad aggiustare la rotta guardando stelle che dovrebbero essere fisse ma che invece, a quanto pare, immote non sono. Ben lontani dalla perfezione, mai arresi alla sconfitta.
Dove ci porterà quest’esperienza potentissima e lacerante, che condividiamo con le coppie di tutto il Pianeta, non lo sappiamo ancora. Ma una cosa e certa: se alla fine vedremo la luce, non potremo che uscirne migliori. Più forti, più consapevoli. Più liberi.