Quelle patacche sul marciapiedi che lui chiama “impronte dei dinosauri”, in realtà sono solo delle vecchie gomme da masticare spiaccicate.
Le porte automatiche dei supermercati e degli aeroporti non sono veramente magiche. E se manca la corrente hai voglia a dire abracadabra.
A proposito di formule magiche, a volte sembra che dica avada kedavra. Ed è davvero parecchio inquietante.
Se quando giochiamo a nascondino lui schiamazza dalla sua tana, viene sgamato immediatamente da chi ha il compito di cercare.
Quegli spaghetti piccoli piccoli in realtà si chiamano riso.
Quando non rispondo deliberatamente al telefono di casa non è perché il chiamante ha sbagliato numero. Sono io che non ho voglia di parlare con Fabio della Telecom.
I suoi congeneri, a differenza sua, fanno la pipì in piedi. Con conseguenze talvolta molto indesiderate sull’ambiente circostanze.
Quando scatta il verde al semaforo pedonale, non sono davvero io che ho compiuto il prodigio agitando le braccia.
Se arriva sempre per primo in cima alle scale non è perché sia l’erede morale di Usain Bolt. È solo che né io né suo padre abbiamo la minima voglia di scagliare i nostri poveri corpi contro la forza di gravità. E sua sorella non la padroneggia ancora perfettamente, quella stessa attrazione gravitazionale.
Quando Artù mi prende a mozzichi non lo fa “per giocare”. È proprio che mi odia e vorrebbe uccidermi.
Il mio lavoro non consiste nel passare ore al computer a digitare il suo nome.
I supereroi esistono. E si chiamano mamma e papà.