Mia madre e le sue sorelle sono nate durante la seconda Guerra Mondiale in Istria, quando l’Istria era ancora italiana. Mia nonna ha ricordato con nostalgia per tutta la sua vita quel luogo di confine che le aveva accolte con benevolenza, prima che la guerra e le bandiere lo rendessero inospitale e feroce. Un luogo di confine che da allora, nel giro di pochi decenni, ha già cambiato bandiera altre due volte.
Il dialetto della mia terra, che io amo tanto quanto la lingua italiana (e che fa male vedere storpiato ogni giorno sui social network e sulle labbra della gente) è una miscellanea di lingue straniere. Il cavaturaccioli si chiama “tirabusciò”, praticamente come in francese. La tovaglia si chiama “mesale”, probabilmente dallo spagnolo “mesa”, che significa tavolo. Perché la mia terra è italiana da poco più di un secolo e mezzo, dopo migliaia di anni di derivazioni straniere.
I miei figli ogni tanto giocano con un malridotto coniglio di pezza celeste che hanno ereditato da me. Lo hanno chiamato Giulio Coniglio. Me lo aveva portato in regalo uno dei miei cugini da una gita scolastica, nei primissimi anni ’90. Reca ancora l’etichetta “Made in Cecoslovacchia”. Un posto che oggi non esiste più.
Una mia cara amica, che purtroppo non vedo mai, vive in Puglia, ma è siciliana, figlia di siciliani. È bionda come sua madre e ha i suoi stessi occhi celesti. Forse quei colori sono arrivati fino a loro, di generazione in generazione, dai tempi in cui in Sicilia c’erano i Norreni, sbarcati via mare dal nord sulle loro barche piccole e veloci.
Una delle persone che ho più care al mondo vive all’estero da vent’anni. I miei cognati e la loro figlia vivono in un altro paese. Parlano ogni giorno una lingua diversa dalla mia, fanno sogni in una lingua diversa dalla mia.
Siamo tutti stranieri. E nessuno è straniero.
I confini, le appartenenze, le bandiere sono convenzioni. Sono lasciti della storia, sono il risultato di eventi fortuiti, guerre, accordi più o meno duraturi. E sono mutevoli. Il posto in cui viviamo non si è sempre chiamato “Italia”, e di certo non si chiamerà così per sempre. I suoi confini sono cambiati cento volte, nel corso della storia, e altrettante cambieranno in futuro. Paesi che sono stati potenze internazionali vivono secoli di buio e miseria, e lo stesso forse capiterà, al rovescio, a chi oggi domina il mondo.
Esiste un solo marchio di appartenenza, ed è quello dell’umanità. Tutto il resto – le radici, l’identità culturale, le etichette – conta, ma fino a un certo punto. Ci arricchisce, ci conforta, ci completa. Ma noi siamo uomini e donne, figli della stessa Terra, membri della stessa famiglia. È con questa convinzione che vorrei crescere i miei figli. Le gerarchie, i distinguo, le precisazioni, sinceramente le lascio ad altri.
1 Commenti
Meravigliosa… La penso esattamente come te. Siamo tutti figli della stessa Terra.