Siamo tutte neomamme, per sempre

Porti tuo figlio in pancia per nove mesi, o un po’ meno. Oppure lo vai a prendere in un istituto, in una casa famiglia, in una struttura per bimbi senza famiglia. In ogni caso, ti ritrovi madre all’improvviso, del tutto ignara, impreparata, inconsapevole. E non importa quanti libri tu abbia letto, quanta esperienza tu possa avere come educatrice, maestra o baby sitter. Non importa quanti fratelli o nipotini abbia contribuito a tirare su. La verità è che non hai la minima idea di quello che stia accadendo. Improvvisi, navighi a vista, ricorri in qualche modo al tuo istinto e al retaggio dell’educazione che tu stessa hai ricevuto, dell’esperienza che hai fatto da figlia (nel tentativo di replicarla o di prenderne le distanze). Soprattutto, ti addestri giorno dopo giorno a interpretare i segnali criptati che ti manda tuo figlio. A leggere i suoi bisogni inintelligibili. A districarti tra dubbi, fallimenti, difficoltà e imprevisti. A perseguire, o meglio tentare di perseguire, il bene di tuo figlio.

Sei una neomamma, sei inesperta, sei una pioniera. Un’improvvisatrice, una creativa. Una funambola. Ma si tratta, a ben vedere, di una condizione solo apparentemente temporanea. La verità è che resti inesperta e ignara per tutta la tua esistenza di genitrice. Impari in fretta a cambiare un pannolino, a lavare tuo figlio senza lessarlo o fartelo scivolare via dalle mani, a preparare ettolitri di brodo vegetale, a sterilizzare un biberon, allattare in un mezzo pubblico, leggere facendo le vocine, cantare la ninna nanna con la modulazione più efficace. Ma non fai in tempo a sentire di aver acquisito una certa padronanza della situazione, che tuo figlio diventa qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che avevi imparato a conoscere. Cambiano le sue esigenze, le sue necessità, i gusti e le sue preferenze. Cambiano le cose di cui ha bisogno, e che tu devi riuscire in qualche modo a dargli.

Fare il genitore significa esistere in un equilibrio precario e incessantemente mutevole. Anzi, significa inseguire un equilibrio che di solito ti sfugge dalle mani nell’attimo esatto in cui ti illudi di averlo raggiunto. Significa dover conoscere e riconoscere tuo figlio ogni giorno, perché ogni giorno lui cresce e cambia, anche in profondità, a volte senza causa apparente e non sempre nella direzione che ti aspettavi o che auspicavi per lui, per voi. Significa ritrovarsi di continuo a dover sparigliare le carte e ricominciare da capo, perché quello che per mesi, fino al giorno prima, aveva più o meno funzionato – linguaggi, rapporti, abitudini, piccole e grandi liturgie quotidiane – all’improvviso ha perso di efficacia. E allora tocca cambiare registro, mettersi in discussione, ripensarsi e tentare ancora e ancora. Ripartire dal via, o quasi.

Siamo tutte neomamme, sempre e per sempre. Inchiodate a un’imprevedibilità che, se vale per ogni aspetto della vita, e in definitiva per la vita stessa, vale anche di più per un essere umano in evoluzione rapida e continua. E di cui hai la responsabilità per molti anni. Perché al “mestiere” del genitore non è, credo, applicabile, il concetto ordinario di esperienza: puoi aver tirato su tuo figlio fino alla maggiore età per ritrovarti all’improvviso disarmato da una scelta che non ti aspettavi, da una condizione inedita, da una situazione ancora sconosciuta. E sentirti comunque impreparato come quando ti hanno piazzato tuo figlio appena nato tra le braccia.

Siamo tutte neomamme, per sempre. Navighiamo a vista, senza bussola e con delle coordinate che ci cambiano continuamente tra le mani.

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