Quando finisce il nostro ruolo?

by Silvana Santo - Una mamma green
figli piccoli, problemi piccoli

Figli piccoli, problemi piccoli. Questo dice l’adagio, che però a me ha sempre dato un certo fastidio.
Non solo perché svilisce la fatica dei neo-genitori e avvilisce le loro speranze e prospettive, ma anche perché, in generale, trovo poco sensato lanciarsi in una gerarchia dei problemi e delle sofferenze. Come a dire che non tutte le difficoltà sono meritevoli della stessa empatia, che non tutte
Non è vero che occuparsi di un neonato sia una responsabilità meno gravosa che seguire un bambino, o magari un adolescente.

Al contrario, è vero semmai, e in quasi un decennio di permanenza controversa nella nebulosa delle madri e dei padri me ne sono definitivamente convinta, che sulla primissima infanzia e sui neo-genitori viene esercitata una pressione sociale (e social) indicibile, che inspiegabilmente si estingue tanto, e quasi all’improvviso, quando i bambini raggiungono l’età scolare.

Se per i primi anni di vita di tuo figlio vieni bersagliata da mille critiche, domande non richieste, indicazioni e teorie, e ti trovi a misurarti con aspettative del tutto irrealistiche, a un certo punto – puf – sembra che i ragazzini e la loro educazione (anche e soprattutto affettiva) diventino una questione paradossalmente secondaria. Come se, una volta che li hai svezzati e inseriti a scuola, “il più fosse fatto”.

Le madri fresche di parto (chissà perché i padri, novellini o già rodati, non sembrano mai così inclini a preoccuparsi o discutere delle scelte in fatto di maternage – che in effetti non si chiama “paternage”, e qualcosa vorrà pur dire) si scannano nei gruppi e nelle pagine Facebook sul latte artificiale e sull’allattamento al seno, sul passeggino e sulla fascia, sul cosleeping e sul metodo “Fare la nanna”. Le casalinghe foraggiano i sensi di colpa delle “madri lavoratrici”, che a loro volta guardano le altre con una malcelata sufficienza. E giù trattati, sondaggi, editoriali e polemiche sull’importanza del nido, dei giochi montessoriani, destrutturati, naturali, sugli effetti a lungo termine del bonding madre-figlio, sull’alto contatto, sull’educazione empatica, sullo spannolinamento e via discorrendo. Se non pasci tuo figlio con germogli biologici da te prodotti con terriccio fertilizzato con il limo derivato dalle esondazioni del Nilo, sei una pessima madre. Se non stimoli adeguatamente tuo figlio parlandogli in sanscrito e sottoponendolo a giochi educativi e montessoriani, sei una madre degenere. Se ti perdi la sua recita di Natale all’asilo, meriti una convocazione dai servizi sociali.

Ma basta che i bambini raggiungano l’età scolare e la musica cambia. L’attenzione al ruolo dei genitori sbiadisce, i dibattiti e le dissertazioni in tema educativo e parentale smettono di suscitare interesse. Come se, una volta svezzati, questi ragazzini diventassero sostanzialmente e improvvisamente autonomi, e il ruolo delle loro additatissime genitrici finisse all’improvviso col diventare marginale, relativo, tutto sommato aleatorio nello sviluppo della personalità e nel benessere globale dei loro figli.

Difficilmente ci si imbatte in polemiche sull’alimentazione di bambini “grandi” e preadolescenti, sulla quantità e qualità del loro sonno, sulla quantità e qualità del tempo che le madri trascorrono con loro, degli stimoli che gli propongono, dell’empatia che riescono a mostrare nell’accudimento quotidiano. La scuola, che spesso si occupa dei bambini e dei ragazzi per la maggior parte della giornata, diviene l’oggetto principale delle discussioni e delle querelle sui social network. Il capro espiatorio dei problemi educativi, del bullismo, delle fragilità, dei vuoti e delle sofferenze di intere generazioni.

Nessuno, o quasi, sembra indignarsi o preoccuparsi se i ragazzini passano la maggior parte delle loro giornate lontani dai genitori, se trascorrono lunghe ore soli davanti a uno schermo, se si alimentano in modo casuale o malsano. Al massimo, dopo ogni tragedia presunta o reale che assurge agli onori della cronaca, ci si accapiglia per qualche giorno sull’uso della tecnologia e dei social nei ragazzini molto giovani, sull’opportunità di vigilare, limitare, filtrare.

Eppure, almeno secondo me, un bambino in crescita e poi un (pre)adolescente e un giovane adulto ha ancora più bisogno di avere accanto, e successivamente “alle spalle”, una guida attenta, un esempio consapevole, una sponda e un rifugio. Anche, e forse soprattutto, negli anni della sua vita in cui è assolutamente convinto di poterne invece fare a meno.

Paradossalmente, per come la vedo io, il “tempo di qualità e quantità” con i figli diventa ancora più prezioso e importante quando questi figli diventano un po’ più grandi, quando il processo educativo si fa serio e complicato, quando le influenze dall’esterno diventano significative, nel bene e nel male.

E invece mi sembra che, in nome della presunta “autonomia” dei figli, la tendenza sia quella di crocifiggere una madre perché non allatta al seno, o perché rientra al lavoro con un figlio di pochi mesi, per poi assistere nella totale indifferenza al destino educativo di intere generazioni di bambini, ragazzini e adolescenti. Senza interrogarsi sul ruolo che i genitori dovrebbero avere, sui principi cui ancorarsi, sugli stimoli (anche culturali!) da offrire, sui divieti sacrosanti da imporre, sulle esperienze da condividere con i figli.

Perché tanto, a quanto pare, una volta svezzati “sono grandi, ormai”.

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3 Commenti

Elena 11 Febbraio 2021 - 18:17

Ho un figlio di 13 anni e uno di 4 anni
Sono in mezzo ad una tormenta indescrivibile con il figlio più grande. Poi questo eterno confinamento dovuto al covid ci sta facendo morire.
A questa età hanno BISOGNO di essere contenuti seguiti ed ascoltati … naturalmente con discrezione. La presenza quotidiana è necessaria…su tutti i campi per esempio nello sport o gli impegni scolastici ed non per ultimo anche per una dieta equilibrata ed in tanti altri casi.

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Viaggio C. 12 Febbraio 2021 - 12:40

Quante assolute verità. Apprezzo da sempre la tua sincera schiettezza. Grazie

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Mamma Avvocato 22 Febbraio 2021 - 11:33

Come al solito, le tue riflessioni mi colpiscono e spesso mi ci ritrovo.
In questo caso, pienamente. Sarà che prima non avevo termini di paragone ma adesso che ho un figlio di 9 e due gemelli di 3 anni mi accorgo che la fatica fisica e, per me, la noia della ruotine di cura quotidiana, è maggiore con i piccoli ma la fatica mentale di essere sempre attenti a mille aspetti e trovare il modo di esserci e guidare senza soffocare personalità del bambino ed autonomia è tutta diretta verso il grande. Mi viene da ridere quando amici o conoscenti mi dicono: “Farai fatica con i piccoli ma ormai il primogentio è grande, ti aiuta e non ha più bisogno!”. Mi viene da rispondere che, certamente mi aiuta giocando con i suoi fratelli ed è molto autonomo, ma tutto questo è frutto di un lavoro educativo e, in ogni caso, ha molto bisogno della presenza mia e di suo padre, di ascolto e di guida, più dei fratelli. Anche perchè se non cerchi di porre buone basi prima, probabilmente rischi nella adolscenza di fare il triplo della fatica a mantenere il rapporto. Comunque mi credono in pochi.

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