A casa nostra, le favole vanno molto forte. La leggiamo, le raccontiamo, le inventiamo. Le interpretiamo con le marionette. Qualche volta proviamo anche a disegnarle, con risultati discutibili viste le mie molto limitate capacità artistiche. Mi piacciono, le favole, incluse quelle tradizionali. Mi piace che ci siano i buoni e i cattivi, gli eroi e i mostri, la magia e l’amore. Mi piace che facciano un po’ paura, e che insegnino ad avere fiducia e coraggio. A non abbattersi quando il protagonista (e noi insieme a lui), finisce in ginocchio o si trova in pericolo. A fronteggiare il male, a combattere creature spaventose, a scappare quando il buon senso lo suggerisce. Sono una bella palestra, le favole. Un esercizio prezioso, uno strumento per interpretare la vita, gli uomini, il destino.
Quello che a volte mi sta stretto, nelle fiabe classiche, sono certi stereotipi che inevitabilmente si portano dietro, visto che sono il retaggio di culture del passato e tradizioni antiche, per certi versi superate almeno in parte. La principessa inerme che ha sempre bisogno di essere salvata. Il folletto bruttino che in qualche modo è anche malvagio. Il bel cavaliere senza macchia e senza paura. E poi, ovviamente, il povero lupo cattivo. Che nefandezze avranno mai potuto commettere i lupi, lungo la storia dell’umanità, per meritarsi l’immancabile ruolo del cattivo, che puntualmente finisce squartato, scuoiato, percosso e preso a calci nel sedere? E quanto avranno pagato i lupi veri, nei secoli, questa fama negativa che le fiabe gli hanno appiccicato addosso?
Non penso che ci sia qualcosa di negativo nel dare al male una personificazione. Né che sia così disdicevole che una principessa chieda aiuto di fronte alle difficoltà. Però sono contenta quando, accanto alle versioni canoniche delle favole, viene proposta ai bambini qualche lettura alternativa. Una donzella forte e coraggiosa, un principe imbranato, un ranocchio che resta verde e viscido anche se lo sbaciucchi con ardore. E un lupo che magari si converte, o semplicemente riesce a far capire che è sempre stato bravo. Letture alternative come le classiche Favole al rovescio di Rodari, per esempio. Oppure La principessa e il drago, un libro di Robert Munsch in cui l’eroina si salva da sola, e dà il benservito a un principe superficiale che la critica perché si è bruciacchiata i vestiti combattendo il drago.
O ancora come la performance teatrale interattiva de Il piccolo regno incantato – La fiaba delle fiabe, a cui abbiamo assistito qualche giorno fa. Un viaggio magico nel mondo della fantasia, con allestimenti e costumi fantastici e tanti personaggi delle fiabe della grande tradizione (Alice, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, I tre porcellini, Peter Pan, Mago Merlino, ma anche Mary Poppins). In cui, però, alla narrazione classica si affiancano messaggi nuovi, istanze contemporanee, punti di vista visionari. Oltre a contaminazioni tra una favola e l’altra, che contribuiscono a evocare un universo magico fondato sull’immaginazione e sulla libertà. Il piccolo regno incantato è in scena a Napoli, in una sede spettacolare del centro storico (il complesso monumentale di San Domenico Maggiore), e vi resterà fino al 7 gennaio. Un percorso della durata di poco più di un’ora che farà capire ai bambini – e non solo a loro – la potenza straordinaria della loro fantasia, il fatto che, finché loro credono in qualcosa, quel qualcosa esiste davvero. E che il lupo cattivo, in realtà, non è poi così cattivo.
(Qui la biglietteria online. Per la mia esperienza con Davide e Flavia consiglio di portarci senza riserve i bambini a partire dai 4 anni, e di valutare caso per caso, a seconda dell’interesse e della capacità di attenzione del singolo, per quanto riguarda i più piccini. I bimbi al di sotto dei due anni, in ogni caso, non pagano il biglietto).