Da un paio di giorni Davide è malato. Niente di serio, per fortuna, solo uno di quei banali e inevitabili mali di stagione. Tra qualche giorno starà meglio e io lo so. Ma questo non mi impedisce di provare una leggera morsa allo stomaco ogni volta che tossisce e la saliva gli va di traverso; di sentirmi triste, oltre che disperatamente stanca, quando si sveglia piangendo perché non riesce a respirare col naso.
Non è che io sia preoccupata o ansiosa: sono semplicemente dispiaciuta. Forse, a prescindere dalla sua gravità, la malattia dei propri figli è qualcosa di intrinsecamente inaccettabile per ogni genitore. Forse, dopo aver offerto loro il nostro corpo insieme a ettolitri di fluidi nutritivi, siamo programmati per tutta la vita per cercare il loro bene, o almeno per desiderarlo. Forse, per quanto ammalarsi e combattere per guarire sia quanto di più naturale esista, l’idea di trovarti in piena forma mentre tuo figlio, infinitamente più giovane di te, gronda germi da ogni poro del suo corpo contiene in sé qualcosa di intimamente ingiusto.
La verità è che non sopporto di vederlo star male, e questo è un problema. Vorrei, Dio sa quanto lo vorrei, che lui non dovesse avere a che fare mai con la paura, lo scoramento e la frustrazione. Vorrei salvarlo dalla tristezza e dalla noia, dal fallimento e da ogni malinconia, come in quella canzone di Battiato. Darei qualsiasi cosa, soprattutto, per garantirgli l’immunità eterna dalla solitudine. Non posso farlo, naturalmente. E se anche potessi, probabilmente non sarebbe giusto. Non sarebbe sano privarlo di quella parte della vita fatta di starnuti e di cadute, di abbandoni, di lividi e di errori da perdonare. Una parte importante, una parte necessaria.
Nella sua esistenza non potranno mancare gli amori sbagliati e le notti insonni. Il lutto, la tristezza, la rabbia sorda che ti fa accelerare il battito cardiaco. I tradimenti inflitti e subiti, l’ansia e la nostalgia. Avrà ferite da leccarsi, amici da dimenticare, sconfitte da accettare. Io non potrò, e non dovrò, essere lì per impedirlo.
Non posso salvarti, figlio mio, anche se pensarlo mi spezza il fiato.
Il mio ruolo è un altro, mi dico mentre lui tossisce con gli occhi lucidi. Rendere accettabile la sua sofferenza, condividerla con lui. Perdonare i suoi errori per insegnargli a perdonarsi a sua volta, amarlo soprattutto quando sarà furioso e irriconoscente, così che impari ad amare se stesso anche quando non sarà poi così amabile. Ricordargli che l’imperfezione è il nostro destino comune, un destino che può essere esaltante e luminoso se noi solo accendiamo la luce. Ripetergli, come dicevo a me stessa quando avevo 15 anni e tanta paura, che riconosce la felicità solo chi ha patito il dolore. Perché – ed è l’unica cosa, forse, che una madre dovrebbe insegnare a suo figlio – prima o poi il dolore passa, mentre la vita rimane.
20 Commenti
Ti chiedo scusa se ti uscirà un mio re blog ma ho sbagliato a cliccare e volevo farlo con un altro post di un altro blog. Scusami per il disguido.
No problem!
È così! Io a volte mi dico quello con cui tu concludi alla fine, ricordandomi che spesso i genitori che vogliono far tutti per i propri figli li spingono a voler far poco per sé stessi. Io ho queste crisi di dispiacere quando lo devo sgridare…
Eh già. Ma pure quello ci tocca!
Si vorrebbe sempre risparmiare ai propri figli qualsiasi tipo di malanno… Sapere che un figlio ha una malattia, grave o banale che sia, è una cosa inaccettabile per una madre, che però è costretta a trovare le forze per combattere e per avere la lucidità di prendere decisioni.il cervello non di spegne mai ed è sempre fisso il pensiero
Lucidità. Questa è la parola d’ordine. Forza e coraggio, io sono sempre con te.
Grazie
non preoccuparti Silvana, siamo tutte così 🙂 approfittane per coccolarvi a vicenda….
Buona guarigione!
Non mancherò! Grazie di cuore, Marianna.
Silvana carissima, è la vita!
Un abbraccio
Eh già, Adri. Quanto è vero! :*
Anch’io vorrei preservare mio figlio da ogni cosa che possa farlo soffrire, ma come dici tu, possiamo solo aiutarli a diventare forti per essere in grado di superare i dolori che inevitabilemnte arrivano durante la vita.
Nel frattempo gli auguro che sconfigga presto questo primo ostacolo e torni a sorridere e respirare sereno!
Grazie mille!
ciao silvana, ancora una volta mi ritrovo in quello che scrivi. penso sia una cosa prettamente da mamme e io non avrei pensato di poter arrivare a pensare certe cose dato il mio essere molto hippy! la prima volta è stata quest’estate quando Bjorn ha preso la varicella e aveva 7 mesi, è stata abbastanza dura vederlo pieno di bolle e lagnoso, ma mi sono imposta che le preoccupazioni dovevano essere mie e basta e che la convalescenza doveva essere il più divertente possibile. quello che vorrei trasmettergli è non aver paura della paura, è quello che blocca e genera ansia ed è un circolo vizioso. ci sono arrivata dopo un po’ di anni ma ci sono arrivata…diciamo che mi avrebbe fatto comodo arrivarci in fase adolescenziale, ma ci accontentiamo! non sempre mi riesce ma mi impegno tanto!
dai, lavaggi nasali, aerosol e passa tutto!
ps fossimo state vicine geograficamente vi avremmo prestato volentieri un aggeggio inquietantissimo per fare l’aerosol a forma di coniglio, tale mr carrot per l’appunto, che Bjorn adora!
pps ti sto seguendo anche su instagram e davide è troppo carino, morbido morbidissimo!!!
forza,
francesca
L’aerosol a forma di coniglio DEVO averlo! 🙂 Comunque hai detto una cosa preziosa: insegnargli a non aver paura della paura. Ci proverò, grazie!
Ps. qual è il tuo nick su Instagram?
francescafreckles nella foto ci siamo io e zenzerone!
Visto, siete bellissimi! 🙂
Brava silvana non sai quanto in questo e altri tuoi pezzi mi rivedo…cosi impotentemente mamma!
Ciao Giulia, benvenuta! Grazie mille, è bello sentirsi meno sola 😉
Leggo solo ora… Che bello! Un promemoria non scontato anche per gli adulti.