Ci sono momenti, e ce ne sono stati molti, in questo distopico e contraddittorio 2020, in cui mi capita di pensare che l’umanità sia diventata una famiglia di cui non è troppo piacevole far parte. Che il mondo stia andando a rotoli.
Ci sono gli odiatori seriali. Quelli che hanno bisogno di un colpevole a cui dare la caccia, possibilmente qualcuno che non sia poi così colpevole, che non detenga davvero grandi responsabilità (e in questi mesi si sono alternati, in questa veste sfortunata, i runner, i proprietari di cani, gli anziani incapaci di restare in casa o di indossare la mascherina, i genitori di figli piccoli, i figli piccoli stessi, e ora i ragazzi della “movida”).
Ci sono i leoni da tastiera. Che augurano la morte a chiunque non la pensi come loro. Che hanno così tanto tempo da perdere, da prendersi la briga di cercare sui social il “villain” di turno e bersagliarlo di insulti, maledizioni, minacce di tortura e morte. Che si tratti di un presunto assassino o di una volontaria di una ONG, poco importa. Sono la versione 2.0, più numerosa e più agguerrita, di quelli che negli anni ’90 formavano capannelli fuori ai tribunali in cui si stavano celebrando processi di rilevanza mediatica, solo per aspettare l’imputato, magari a orari improbabili, e vomitargli addosso tutta la bile che avevano in corpo. Mi sono sempre chiesta che vita miserabile dovessero avere coloro a cui poteva saltare in mente di fare una cosa del genere, di investire tempo ed energie e risorse per andare a insultare uno sconosciuto. Eppure i social hanno amplificato ed esasperato questo fenomeno.
Ci sono i poliziotti che ammazzano un ragazzo durante un fermo, solo perché è nero. E i carabinieri che massacrano un ragazzo in carcere, solo perché “tossico”. E la gente che esulta per queste morti oscene. O che perlomeno giustifica, relativizza, distingue. Ci sono quelli che, alla notizia dell’ennesimo stupro, si chiedono istintivamente se la vittima “se la sia cercata”, come fosse vestita e cosa abbia fatto “per provocare” il suo aguzzino. Ci sono quelli che godono davanti a una barca piena di esseri umani che cola a picco invece di condurli verso una vita nuova. E quelli che considerano del tutto normale lasciarli alla deriva per giorni e settimane, in attesa di capire chi e come dovrebbe farsene carico. I teorici dell’umanità condizionata, del distinguo, dei però sputati di fronte alla vita e alla morte dei figli degli altri.
Ci sono quelli che ammazzano di botte le donne perché le considerano una loro proprietà, e quelli che li compatiscono per il loro “eccesso d’amore”. Quelli che “ho tanti amici omosessuali, però” e “non sono razzista ma”.
Eppure, se penso alla storia umana nel suo insieme, al cammino che in qualche modo stiamo conducendo nel complesso, secolo dopo secolo, un passo alla volta, penso a un mondo in cui la schiavitù era uno status diffuso e normale, il fondamento stesso della società umana, e che ora è in larga parte aborrita e vietata, almeno formalmente. Penso a un mondo in cui la pena di morte era la prassi. Comminata magari senza un processo, giusto o iniquo che fosse. E al fatto che da decenni, in moltissimi paesi del mondo, mandare a morte qualcuno non è più un’opzione possibile. Penso ai tantissimi posti del mondo in cui le donne possono decidere se sposarsi e con chi, che lavoro fare, se avere o meno dei figli. Penso al fatto che in Paesi che ora consideriamo “civili” e moderni era normale destinare quartieri, mezzi pubblici, spiagge e lavori ai bianchi e ai neri, ai cattolici e ai protestanti, e adesso, per quanto il razzismo non sia di certo sparito dalla faccia della Terra, un abominio del genere non sarebbe più possibile.
Penso agli imperi che si sono sfaldati, liberando popoli oppressi. Ai muri che sono inesorabilmente caduti, sotto i colpi della storia e degli uomini e delle donne di buona volontà. Ai figli “illegittimi” che non sono più dei paria, alle coppie che possono amarsi alla luce del sole, anche se nelle loro cellule alligna la stessa coppia di cromosomi sessuali. Al tentativo quotidiano, di milioni e milioni di persone, di aiutare il nostro Pianeta e alleggerirlo del carico che deve sopportare.
Penso a quanto, giorno dopo giorno, sacrificio dopo sacrificio, lotta dopo lotta, l’umanità stia comunque diventando un luogo più libero, più equo e più giusto da abitare. Anche se, dalla prospettiva parziale e istantanea delle nostre singole esistenze, la situazione ci sembra spesso deprimente, e in cronico peggioramento.
Non è così. Per ogni leone da tastiera c’è un Nicolò Govoni. Per ogni Stefano Cucchi massacrato senza vergogna, ci sono migliaia di bambini sottratti a un destino di morte, di miseria, di sfruttamento. Per ogni Capaci che sprofonda negli inferi, c’è una scuola che apre in un paese in guerra, un ospedale che salva vite innocenti, un medico che parte per vaccinare un villaggio dimenticato da tutti.
Dobbiamo credere che il mondo abbia ancora una speranza, e che stia compiendo uno sforzo enorme per coglierla. Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo nel mondo, e avere occhi per vederlo, nonostante il buio e nonostante il male.