La natura vince su tutto. Sul degrado, sull’abbandono, sulle miserie umane. Sull’incuria e sull’indifferenza. Vince sulla maleducazione, sulla mancanza di senso civico e sul Patto di stabilità. È questo che ho pensato – o forse l’ho piuttosto sperato, non saprei dirlo con certezza – durante una passeggiata domenicale con BigD e suo padre nel fatiscente parco pubblico della mia città.
Tra le panchine divelte e le fontanelle arrugginite, oltre i prati spelacchiati e i cumuli di immondizia, al di là dei sentieri dissestati e delle giostrine cigolanti, la natura continua a trionfare. La vedi dappertutto, se sai dove cercare: nelle samare disperse dal vento, negli ultimi pipistrelli autunnali che indugiano a caccia di zanzare, negli uccelli di passaggio, nei nugoli di girini che popolano lo stagno lurido.
La vedi nei cani che scorrazzano nelle pozzanghere, nelle libellule che sfrecciano nel loro volo apparentemente incoerente. La vedi nelle nuvole che si inseguono piano e nelle bacche che punteggiano i cespugli. La vedi, inesorabile e inattesa, nelle erbe che qualcuno un giorno ha voluto infestanti, negli insetti e nei roditori che non piacciono agli umani, bestie sgradite, creature reiette.
La riconosci negli occhi dei vecchi, col loro tempo agli sgoccioli, eppure così lento. Un tempo senza tempo impegnato all’ombra di un albero, speso ad inseguire nell’aria i giochi delle rondini ritardatarie. Io l’ho scorta, soprattutto, nello sguardo di mio figlio. Nell’eccitazione di fronte a un’anatra, nella sorpresa davanti a un banco di pesci rossi troppo cresciuti.
Circondato dallo squallore, accerchiato senza tregua dal pattume e dall’asfalto sbreccato, BigD vede la natura. E la riconosce. Sorride ai cani come fossero fratelli, agita le mani verso le code dei gatti, attorcigliate come in quella vecchia canzone. Si avvinghia alle foglie dell’edera come se volesse scalare insieme a lei i muri di pietre vulcaniche e i tronchi degli alberi. Anela all’acqua, alla ricerca del proprio elemento primordiale, ritrova nella terra, nell’erba, nella sabbia quello che pensava di aver perso lasciando per sempre la cavità uterina in cui si è formato. C’è speranza, allora. Oltre le aiuole piene di spazzatura, al di là delle agavi vandalizzate da messaggi d’amore giovanile, la speranza sopravvive nei piccoli. A noi grandi non resta – si fa per dire – che evitare di ucciderla.
2 Commenti
Se tutti si guardasse la natura con gli occhi di un bambino scevro da cattiverie e malizie, forse ci sarebbe ancora speranza!
E noi proviamoci! Forse falliremo, ma almeno potremo dire di aver tentato… (Saluta per me la tua verde terra!)