Non è successo subito. C’è voluto del tempo. Degli anni, addirittura. Ma diventare madre, piano piano, ha finito col cambiare drasticamente il mio punto di vista sugli altri. Adesso, d’istinto e senza averlo deciso, mi rendo conto di ragionare e soprattutto di “sentire” come una madre, e non più, o non solo, come una figlia.
Guardo un film o una serie tv in cui un bambino muore, viene rapito, perduto, abbandonato, e l’immedesimazione è tale da rendere lo strazio tangibile. Se incrocio una ragazza a passeggio con sua madre, non mi sento più – come accadeva fino a pochissimo tempo fa – “vicina alla figlia” (visti l’ abbigliamento, l’attitudine, i probabili interessi), ma mi sorprendo a sperare che anche i miei bambini, tra un decennio o poco più, abbiano ancora voglia di venire a spasso con me. Guardo un adolescente in palestra e mi chiedo: andrà d’accordo con i genitori? Parlerà con loro? Gli farà piacere stare in loro compagnia?
Quando viaggiamo, non guardo le coppie o i gruppi di amici ridere come per decenni ho fatto io coi miei compagni di viaggio. Osservo le famiglie con figli piccoli, spesso del Nord Europa, e mi scopro fiera e commossa di sentirmi “come loro”. Vicina alle loro esigenze, alle loro esperienze, al loro vissuto.
Se sento o leggo di un bambino o di un ragazzo malato, o strappato alla vita, è a sua madre che penso. Alla morte che avrà nel cuore, alla forza che le servirà per andare avanti. È lei che vorrei abbracciare, consolare, sollevare per un solo momento dalla pena infinita che le tormenta l’anima.
Sarò per sempre una figlia. Sono una moglie, e cerco di essere per chi amo una specie di sorella, per quanto non possa comprendere il reale significato di questa parola. Ma sono anche una madre. E questo, in qualche modo, ha cambiato il mio punto di vista sul mondo.
Non penso sia una questione anagrafica: alle feste di compleanno, in spiaggia, al parco giochi, preferisco stare insieme ai piccoli, piuttosto che chiacchierare coi grandi di cose “da genitori”. Sono sempre ben felice di quando qualcuno, per strada, mi chiama “signorina”. E i discorsi sui progressi scolastici dei figli, sulla pappa e sulla cacca mi annoiano a morte come sempre. Non sarò mai, credo, il tipo di persona che si commuove davanti a un neonato sconosciuto, o che prova un trasporto automatico per i figli altrui. Ma sono una madre, e per la prima volta in vita mia mi sembra che questo condizioni il mio sentire. Non in meglio o in peggio, ma in qualche modo.
Diventare genitori è partorire se stessi da capo. Per tutta la vita.
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Grazie