Di luce, di eternità e di pace

arteNon ricordo con precisione l’ultima volta che avevo passeggiato da sola in un museo. Da allora saranno passati almeno un paio di anni, credo. In mezzo ci sono state mostre e visite in compagnia di persone diverse (di Davide, perfino), ma da sola no, non capitava da tanto tempo. Mezz’ora. Poche decine di minuti insieme a me stessa nella già ben nota Reggia di Caserta, mentre il resto della famiglia poltriva al sole dei Giardini inglesi in attesa di amici.

Le sensazioni che ho provato mi hanno colto di sorpresa. Tante insieme, distinte e solo apparentemente in contrasto tra loro.
La struggente nostalgia per gli anni passati. Per l’unica cosa che mi manca della mia vita romana, le decine di serate passate da sola in giro per musei.
La speranza di riuscire a condividere, prima o poi, tanta magia con mio figlio, di rivedere, nei suoi occhi sgranati, la mia curiosità di bambina davanti al mistero della bellezza immortale.

La pace, soprattutto. La pace straordinaria che ho sempre provato passeggiando sotto volte affrescate, tra dipinti, libri miniati, arazzi e busti di marmo.

Non so dire perché l’arte abbia su di me un effetto tanto potente. Forse è il peso della storia. Gli echi del tempo che aleggiano nel saloni rivestiti di marmo e sui tappeti consunti. Il tempo che scorre lento, e, anzi, resta immobile, cristallizzato dietro i vetri antiriflesso e nelle bacheche tarlate, intrappolato all’interno degli specchi ossidati o nella trama degli arazzi sbiaditi. Negli ingranaggi delle pendole d’epoca, nello splendore dei gioielli strappati alla polvere delle tombe. Oppure è il silenzio. La quieta penombra che di solito regna nei musei e nelle vecchie chiese. I bisbigli, le recensioni sussurrate. Il ticchettio lento dei tacchi sul pavimento.

Ancora, il piacere sottile di mischiarmi ai turisti stranieri, di immaginare la loro provenienza, di spiarne con discrezione i commenti ammirati. Quella sensazione illusoria di trovarmi “altrove”, la sicurezza, almeno per una volta, di non dovermi vergognare del paese in cui vivo.

E poi, lei. La bellezza. Che inonda gli occhi dopo averli fatti spalancare, e attraverso di loro allaga il cuore. Lo scalda, lo conforta. Lo pacifica.

Ma forse è perché l’arte, in fondo, non è altro che il tributo più straordinario che l’umanità possa riservare alla natura. Il tentativo più riuscito di emularla, di assomigliarle. Il solo modo di cui un uomo disponga per consegnare se stesso all’eternità, a parte quello di affidare pezzi di sé alla propria progenie.

Pietre e pigmenti, metalli e fibre tessili, minerali e gemme che diventano luce, profondità e movimento. La natura come musa e come modello. La natura che fornisce le materie prime, che le trasforma attraverso reazioni chimiche identiche da milioni di anni e che le modifica piano piano nel tempo. La natura che accetta l’uomo come suo apprendista e garzone di bottega, gli svela una parte del suo mistero e gli concede un pizzico della sua potenza creatrice.

 

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2 Commenti

Baciato dal sole | Una mamma green 2 Aprile 2014 - 14:12

[…] un colorito nocciola-ramato sulle manine e sul viso. Regalo delle passeggiate quotidiane e delle gite all’aperto che facciamo spesso nel fine settimana. Sembra uno di quei personaggi televisivi che hanno steso […]

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10 cose che auguro a mio figlio che sta per nascere | Una mamma green 22 Ottobre 2014 - 11:54

[…] Allora spero che potrai scorgerla sempre intorno a te (e dentro di te), nei riflessi del cielo e nelle vene del marmo, nello sguardo di un vecchio e nella luce del mare. Perché a volte sarà proprio questo – uno […]

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