L’eredità di mia madre risiede in una quantità di cose piccolissime eppure importanti e inestimabili. Cose probabilmente mai indispensabili, ma che in fondo sono le sole in grado di fare davvero la differenza. Quel genere di cose superflue e allo stesso tempo necessarie. Non dovute, ma che, quando a un certo punto ti rendi conto di averle perse per sempre, ti mancano con una disperazione che prima non avresti mai saputo immaginare.
L’eredità di mia madre sta nella macedonia fresca sempre pronta nei giorni d’estate, nelle fave e nei piselli già sgusciati per me puntualmente in ogni primavera, nei melograni d’ottobre che mi consegnava già ridotti in una montagna di acini succulenti color rubino. Sta nelle prime rarissime ciliegie comprate apposta per sua madre prima e per suo nipote dopo, nelle noci fresche sgusciate e spellate per gli altri con certosina pazienza, che le lasciavano tracce scure sulle dita scorticate dalla fatica e dalla modestia di una vita senza fronzoli e senza grandi frivolezze.
L’eredità di mia madre sta nella telefonata invernale che mi avvisava delle prime gocce di pioggia a minacciare il bucato steso in fretta e furia prima di sedermi al computer, nelle percoche tuffate d’estate – lei che pure era astemia – dentro le brocche fresche di vino rosso, nelle minuscole bottiglie di Coca sempre in frigo da quando mio marito è entrato nella nostra famiglia. Lei che, probabilmente, non ne ha bevuto un solo bicchiere nel corso della sua intera esistenza.
Sta nelle ricorrenze familiari che soltanto lei rammentava, nell’attitudine indefessa e ostinata – e forse a tratti un po’ masochistica – a prendersi cura. A prestare attenzione. A realizzare i desideri degli altri, anche quando non venivano espressi. Anche quando questo, in qualche modo, finiva col fare a pugni coi suoi.
L’eredità di mia madre risiede in quella mole inusitata di cose che nessuno le aveva mai chiesto, ma che lei non mancava di dare. In tutte le cose che aveva deciso e che aveva difeso con tenacia, in quelle a cui aveva saputo o dovuto rinunciare, in quelle che la vita le aveva cocciutamente negato, spesso restituendole a me in dosi immeritatamente generose.
Sta nei chilometri che macinava a piedi ogni giorno per le strade della nostra città. Salutando persone, risolvendo problemi, sopportando pesi talvolta colossali. Gli stessi chilometri che ora percorro da sola, sempre più simile a lei nell’aspetto e nell’andatura, o perlomeno nell’aspetto che rammento di lei quando aveva l’età che ho io adesso. Quando ero piccola e lei era felice come forse non ricordo di averla più vista negli anni a seguire.
L’eredità di mia madre resiste, preziosa, nelle cose che solo a me osava dire. Che tante volte mi sembravano inopportune o innecessarie, zavorre troppo pesanti da affidare a una figlia, ma che adesso custodisco con rispetto, nel silenzio. Nell’amore. Nel ricordo di lei così lacerante eppure salvifico.
Mi è stato chiaro da sempre quanto mia madre e io fossimo diverse. Quanto, per molti aspetti, io avessi bisogno di essere una donna diversa da quella che è stata lei. Il tempo e il dolore mi hanno insegnato a scorgere anche quanto, fortunatamente, abbiamo sempre avuto in comune. L’eredità di mia madre è mia figlia che mi dice piano: “Tu sei la mamma di tutti”. Esattamente come lo era lei.
3 Commenti
Mi dispiace tantissimo, ti capisco bene purtroppo, quasi quattro anni fa ho perso mio padre. A volte ancora non mi capacito che non mi risponda la mattina, quando chiamo a casa loro mentre vado a lavoro
Dolore lacerante. Non aggiungo altro. Io la sto perdendo ed è dolorosissimo. Grazie per le parole che hai condiviso
Mi dispiace tanto, sii forte!