Per anni ho vissuto nella pia illusione di avercela fatta, di aver risolto l’equazione impossibile. Di aver quadrato il cerchio ed essere riuscita a raggiungere un equilibrio accettabile, per quanto precario e sempre bisognoso di quotidiani aggiustamenti. Per anni, in qualche modo che non mi impediva di essere serena e soprattutto fedele a me stessa, mi è parso di riuscire a conciliare “tutto”.
Ho sempre mantenuto un lavoro, per quanto a tempo parziale e con uno stipendio instabile e magrolino. Un lavoro creativo e in costante evoluzione, in linea con le mie attitudini e i miei studi. Un lavoro che nonostante i dubbi, l’insoddisfazione sempre incombente, il confronto invariabilmente impietoso con “le altre”, non è mai stato avaro di soddisfazioni, di incontri, di novità e progressi.
Sono stata sempre un genitore molto presente, aderendo alla convinzione che, scuola a parte, la delega sistematica e massiccia – a persone di famiglia o “estranee”, retribuite o meno – dell’accudimento dei figli non potesse essere la strada giusta per la nostra famiglia (una convinzione del tutto personale, e quindi opinabile ma allo stesso tempo legittima e insindacabile, che deriva da una lunga serie di ragioni, e che resta l’unico compromesso che probabilmente non potrei accettare).
Ho recuperato una vita sociale accettabile, dopo i primi, traumatici e solitari, anni di maternità, e dopo un approdo confuso in quella che allora era la blogosfera dei mummy-blog. Sono arrivata a contare pochi e selezionatissimi amici, preziosi e fidati, sempre presenti, anche se magari fisicamente distanti. A sentirli e vederli con regolarità, per quanto mai con la frequenza sperata. Ad avere di nuovo nella mia vita delle persone con cui condividere ogni giorno quello che c’è e quello che manca, quello che sento e quello che soffro, quello che desidero e quello che ho in programma.
Sono riuscita, non senza fatica, a mantenere un’identità, degli interessi, delle ragioni per cui vivere. Ho viaggiato ogni volta che ho potuto, godendomi alla grande l’organizzazione in prima persona di ogni singolo viaggio. Ho fatto gite e passeggiate, visitato musei, castelli, spiagge e parchi. Ho ritrovato tempo ed energia per leggere, ho ricominciato finalmente ad andare al cinema. Mi sono rimessa in forma, sono andata in palestra per tre anni di fila, ho fatto il mio primo tatuaggio alle soglie dei 40 anni. Ho smesso finalmente di litigare coi miei capelli e con le mie povere unghie.
Non ho mai dovuto rinunciare al tempo di coppia. Coi figli a letto presto ogni giorno e la serata praticamente tutta per noi, non abbiamo mai avuto problemi a stare assieme in tranquillità, a mangiare sushi a lume di candela, fumare il narghilè, fare l’amore, devastarci con maratone di serie TV. E più semplicemente a chiacchierare, o magari a discutere, senza orecchie indiscrete attorno. A mantenere una dimensione che fosse per due, prima e oltre che per quattro.
Avevo fatto della nostra casa un vero santuario. Piccolo e pieno di difetti, ma con tanto carattere e tanto calore. In cui, grossomodo, regnavano una parvenza d’ordine e una pulizia quasi accettabile, senza che questo richiedesse investimenti economici o situazioni difficili da gestire sul piano logistico.
Sembrava funzionare tutto, più o meno. La routine che avevamo stabilito costava fatica e rinunce, non sempre mi salvava dai sensi di colpa e da certi rimpianti, ma mi sembrava di somigliare sempre di più alla persona adulta che avrei sempre avuto voglia di diventare.
Solo che poi qualcosa è saltato, non da oggi e non certo a causa della pandemia.
Le esigenze di Davide e Flavia sono cambiate, ci sono i compiti da fare ogni pomeriggio, c’è la palestra, c’è il pranzo da servire ogni giorno (e che magari sia sano o quanto meno decente), la loro vita “sociale” da incoraggiare, guidare e garantire. C’è la necessità di dedicare tempo e attenzioni esclusive a ciascuno dei due, che hanno temperamenti e bisogni diversi, e spesso gusti differenti anche nel gioco. Ci sono le liti da sedare, i paragoni con gli amici da dribblare, le domande incessanti a cui rispondere con autorevolezza e con sincerità. C’è, insomma, lo sforzo educativo quotidiano e ininterrotto, che assorbe tempo, pazienza, risorse nervose e fisiche che neanche pensavo di poter tirar fuori da me stessa.
E così, a un tratto, il tempo e l’energia (ma anche i soldi) per la palestra si sono esauriti, i chili perso sono tornati con gli interessi, le telefonate e i caffè con le amiche si sono diradati fino a diventare un pallido miraggio. La casa ordinata e accogliente si è trasformata in una stalla invivibile, che a volte sembra proprio una gabbia asfittica. E le serate “child-free” spesso si concludono prima ancora di cominciare, perché mi addormento senza accorgermene sul divano o sul letto di mia figlia. Oppure diventano teatro di estenuanti discussioni su come ridistribuire il “carico”, mentale e non solo, delle responsabilità e dei compiti, con tanto di recriminazioni reciproche, suppliche e lacrime.
L’equazione impossibile è tornata a essere tale. E io mi ritrovo a sentirmi sola e strana, circondata da madri che dicono di riuscire finalmente a “tirare il fiato” rispetto a quando i figli erano piccoli. Come se fossi la sola, o quasi, a sentire che un figlio “grande” ha ancora più bisogno dei genitori, della loro presenza e della lor guida. Che educare un bambino e poi un adolescente richiede più tempo, più impegno e più sforzi che svezzare un poppante, anche se dorme tutta la notte, se si veste da solo e non ha più bisogno di essere imboccato.
Forse sono troppo rigida. Anzi, sicuramente è così. Se lavori, non disponi di servizi adeguati e non vuoi delegare la cura dei figli (e io di certo non ho voglia di farlo), devi accettare altri compromessi: la casa lurida e disordinata, il pranzo comprato in rosticceria, quell’ora di cartoni in più o quel regalino extra che ti risolvono un’emergenza. Devi smettere di sentirti in colpa se rispondi tardi a un messaggio, se non riesci a chiamare la tua amica per intere settimane, se ti sfugge una consegna o se pretendi da chi hai accanto che faccia di più e che lo faccia meglio. Da qualche parte devi pur riuscire a cedere, se non vuoi rimanere inchiodata dall’equazione impossibile.
Forse dovrei ripartire dalla mia personale priorità, che sono i miei figli. L’unica variabile dell’equazione che non si può spostare. Il resto, inevitabilmente, dovrà rassegnarsi ad attendere.
4 Commenti
Guarda io adesso sono sola, mio marito è lontano e torna poco. I due grandi si affacciano all’adolescenza e ogni sera vado a dormire con l’angoscia che non ce la faccio. A sedare liti, a vedere della scuola (tra l’altro tutto nuovo essendoci trasferiti), dei compiti, degli sport,a capire i momenti di stizza, di lacrime, di ormoni che arrivano a impallare la giornata. A sentirmi dire “è così che ci vuoi bene??”, a vedere il terzo rimanere sempre in disparte e il piccolo che mi rende complicatissime le mattine dove in teoria devo dare parvenza di decenza alla casa e preparare da mangiare. Mia madre vive sotto di noi, ma alle volte è solo un volto giudicante, ma anche quella che se piove mi può tenere chi non ha sport o visite mediche.
Insomma, col cavolo che respiro ora che sono cresciuti! Ma ammetto che quest’anno avrei voluto metterli al tempo pieno e forse sarebbe stato meglio anche per loro. Il terzo, che è all’asilo, per una serie di motivazioni si è trovato a fare fino alle 16 e quando è a casa sembra godersi di più i giochi e la compagnia mia e dei fratelli, mi fa piacere ma ogni volta mi si stringe il cuore, come se lo abbandonassi.
Vabbè tutto sto sproloquio per farti senti un po’ meno sola. Un abbraccio!
Grazie mille, mi dispiace tanto per i tuoi affanni, ti comprendo bene. Qui era tutto meno esasperante quando erano alla materna, non so se per l’età più verde o per il tempo pieno (fino alle 16). Adesso si è complicato tutto, ma speriamo davvero di uscirne più forti di prima! Un abbraccio grande anche a te, in bocca al lupo!
Come sempre la più sincera di tutte sei tu.
Condivido ogni parola. E purtroppo non ho consigli da darti….
Grazie infinite, anche sentirsi meno sole è prezioso!