Ieri era domenica, l’ultima prima di questo Natale che mi immalinconisce esattamente come gli altri, anche se mi sforzo di reagire per amore dei miei figli. Una domenica di sole e di cielo cobalto, arrivata come un regalo inaspettato dopo un’intera settimana di influenza e reclusione forzata. Siamo andati al mare. Il mare vicino casa, un mare celebre e di lusso, che richiama gente danarosa da ogni parte del mondo. Un mare che d’estate ci concediamo di rado – troppo traffico, troppa folla, troppi soldi – ma che d’inverno ci appartiene. Gli stabilimenti chiusi, le spiagge deserte disseminate di detriti che la risacca ha restituito un po’ alla volta. Le facciate degli edifici scolorite dalla salsedine e i gabbiani indisturbati che si riappropriano di quello che è loro.
Ma non è di questo che voglio parlare. Ieri, dicevo, abbiamo approfittato del tepore fuori stagione dell’ultima domenica libera prima della inevitabile giostra di impegni natalizi. I soliti sassi da far rimbalzare sull’acqua, le costruzioni coi legnetti, la merenda al sole con un bimbo sconosciuto. I giochi tra le barchette lasciate sulla spiaggia dai pescatori. Poi abbiamo deciso di mangiare un boccone in una piazza poco lontano. Al tavolo di un bar di fronte sedevano due uomini di mezza età, abbronzati e appariscenti. Avevano esattamente l’aspetto di gente che non ha mai avuto figli, anche se forse questo è solo un mio pregiudizio senza fondamento. Comunque, questi due si godevano il sole e l’aperitivo con una leggerezza che mi è parsa sinceramente invidiabile. Quando hanno ordinato il secondo spritz ho smesso per un attimo di lanciare briciole ai piccioni con cui si stavano intrattenendo i miei figli e mi sono chiesta: ma perché stai invidiando quei tizi? Perché ti chiedi se la loro non sia stata una scelta più azzeccata o più facile, ammesso che davvero non abbiano passato i vent’anni precedenti ad allevare dei figli? In fondo, cosa ti manca rispetto a loro? Non ti trovi esattamente nella stessa piazza, benedetta dallo stesso sole, con davanti un aperitivo e una portata succulenta nel piatto? Anzi, ho provato a ricordare a me stessa: tu hai proprio tutto quello che hanno quei due tipi laggiù. E in più hai anche i tuoi figli. L’esperienza di crescerli, l’insostituibile avventura di essere un genitore.
È stato allora che ho capito. Il punto non è quello che posso o non posso fare adesso che sono madre. Non ci sono gite, viaggi, esperienze che davvero desidero ma mi sono precluse. Anche perché Davide e Flavia non saranno per sempre così piccoli. Diventerà sempre più facile organizzare attività alla loro portata, coinvolgerli nelle cose che ci divertono e che ci emozionano. Rilassarci insieme a loro. E il momento in cui preferiranno passare il loro tempo con gli amici, restituendoci una solitudine di coppia che adesso non abbiamo se non in rare situazioni, è molto più vicino di quanto mi sembri. Eppure, eppure, io non sarò mai uguale a quei due abbronzati signori in riva al mare, così apparentemente senza figli. Mai più.
Perché la differenza sta tutta nella mia testa. Perché anche quando non sono insieme ai miei figli, anche quando sono sola o impegnata in altre faccende, anche quando sono concentrata su altro o in compagnia di altre persone, anche quando a loro proprio non ci penso, i miei figli abitano più o meno consapevolmente la mia testa. La responsabilità, l’affetto, la presenza. Il “pensiero”. Che di solito è lieve e dolce, e qualche volta, inevitabilmente, si fa cruccio, preoccupazione o anche nostalgia. È l’essenza stessa dell’essere genitore, il cambiamento più grande che posso registrare da quando ho dei figli. Una condizione che non appartiene a nessuna delle relazioni d’amore che ho vissuto in tutta la mia vita, incluse – e pensavo che non lo avrei mai detto – certe grandi sbronze emotive degli anni della mia adolescenza: non è stato così per i miei genitori, non è stato così per gli amici più cari che ho avuto, e che ho amato a volte più di me stessa. Non è mai stato così per i fidanzati che hanno fatto un pezzo di strada con me, eppure ne ho avuti pochissimi e li ho amati davvero disperatamente. Se mi chiedessero di descrivere, in una sola frase, cosa cambia davvero quando ti nasce un figlio, è proprio questo che alla fine direi. Nel bene e nel male, i miei figli ci sono sempre, anche quando non ci sono. E anche quando loro saranno cresciuti e andati per il mondo e io mi godrò la perfetta solitudine di una domenica d’inverno di fronte al mare, loro, in qualche modo, saranno lì con me. Lo spritz è lo stesso, ma la differenza è dentro la testa.
3 Commenti
Quanto è vero!
Verissimo.
Un figlio è per tutta la vita!!
Concordo a pieno! Sei sempre bravissima a descrivere certe sensazioni…continua così! Un bacione!