Quante volte, me lo sono chiesto, in questi ultimi mesi. Siamo ancora degli innamorati, oppure siamo diventati “soltanto” due genitori, con in comune poco e niente, a parte i figli fatti insieme e la responsabilità di tirarli su nel migliore dei modi possibili?
Non mi sono mai data una risposta. A volte non sono riuscita a trovarla. Altre volte ho preferito negarmela, per paura che quella risposta potesse farmi male.
La verità è che noi siamo dei pionieri. La nostra è la prima generazione che non dà semplicemente per scontato di restare insieme per tutta la vita (come magari poteva essere per i nostri nonni o per i nostri genitori), ma che allo stesso tempo si interroga forse più di quelle precedenti sul benessere psicologico dei figli.
Siamo, per certi versi, i genitori sui quali grava più che mai la consapevolezza della propria responsabilità, anche se forse non siamo del tutto attrezzati per sostenerla (ma questa è un’altra storia). Ma siamo anche uomini e donne cresciuti pensando all’amore come a una condizione imprescindibile per far funzionare una coppia. E un’esistenza. Non siamo più disposti, come lo erano molti in passato, a barattare la nostra realizzazione affettiva in nome del benessere, presunto o reale, dei figli. Ci teniamo a stare in una relazione vera, che funzioni, che ci renda felici. Eppure tutti (i media, i social, gli altri genitori, i nonni etc) ci ricordano costantemente, e spesso a sproposito, che abbiamo, verso i nostri figli, una responsabilità gigantesca. E questo, inesorabilmente, condiziona le nostre vite sentimentali.
Ed è così che finiamo strozzati in un corto circuito da cui non si esce. Siamo genitori. Sempre di corsa, sempre in ritardo, sempre in affanno. Intrappolati da contratti precari, turni di lavoro pre-sindacali, città invivibili e prive di servizi. Alle prese con ritmi impossibili da sostenere e figli che crescono troppo veloce, ma che paradossalmente avrebbero un bisogno disperato di presenza, di condivisione, di ascolto. Assillati dalla sensazione di essere inadeguati, di non avere mai abbastanza tempo, di non riuscire a dare il meglio né sul lavoro né a casa. Dipendenti dai nonni, o dai soldi che guadagniamo e siamo obbligati a investire perché altri crescano i figli che abbiamo voluto noi, innamorati come eravamo. Schiacciati dai sensi di colpa, sfiancati dalla stanchezza cronica, preoccupati per l’avvenire e frustrati in quelli che erano i nostri sogni e le ambizioni che avevamo un tempo.
E come si fa, in questa specie di gara di sopravvivenza quotidiana, a restare anche due innamorati?
A parlarsi di cose che non siano le bollette da pagare, il vaccino da prenotare, il pannolino che non si riesce a togliere, i capricci, la scuola da scegliere, il controllo dal pediatra, eccetera eccetera eccetera? Come si fa a risparmiare energia per ritrovarsi a fine giornata e ridere, prendersi in giro, bere un bicchiere davanti a un bel film, fare l’amore? Come si fa, quando ti sembra di far fatica finanche a impedire ai tuoi figli di finire sotto un’auto, a tenersi ancora per mano mentre si passeggia?
Io non lo so, come si fa. Mi sento circondata da coppie in affanno (conclamato o latente, dichiarato o sottaciuto), da coppie stritolate da un’esistenza che è diventata una corsa. Mi sembra, a volte, che la sfida per il momento sia semplicemente quella di sopravvivere come duo. Di non accumulare distanza, di non serbare rancore, di non dimenticare. Ricordare a se stessi la scelta fatta e le ragioni che l’avevano mossa. Avere pazienza, avere fiducia, avere speranza.
In attesa di cosa? Che i figli crescano, che il lavoro torni stabile e sostenibile, che la vita riprenda a scorrere su binari più umani? Non so nemmeno questo. In attesa, forse, di capire che siamo adulti, per giunta genitori. E che l’amore, tra adulti, è una cosa con meno glitter ma con più sostanza di quando avevamo 20 anni. Che si nutre non tanto di parole ispirate e di emozioni forti, ma di mattoni impilati uno sull’altro, di problemi risolti, di abitudini sane. Di pesi portati assieme, di reti issate a quattro braccia. Che è una specie di staffetta, più che un tuffo sincronizzato. Una cosa che sa di radici e di tana e di appartenenza. Che guardi negli occhi dell’altro e sai che lì in fondo, da qualche parte, c’è qualcosa che conosci, anche se adesso è offuscata dalla stanchezza, dalle lacrime, dalla preoccupazione. Tue o della persona che stai guardando.
In attesa di capire che siamo innamorati, ma siamo anche genitori. E questo ci ha cambiati per sempre, nel bene e nel male.
E che siamo genitori, ma siamo ancora innamorati. E forse la verità è che non abbiamo neanche bisogno di dircelo, perché semplicemente è così.
5 Commenti
Che bell’articolo! L’ho girato a mio marito!
Comunque queste situazioni sono tipicamente italiane. Nel resto d’Europa, soprattutto nel nord, il tempo per la coppia è sacro. E sinceramente hanno proprio ragione! I figli arrivano dalla coppia, che comincia dal singolo: bisogna curare ogni step per far sì che il meccanismo funzioni bene,
Beh, in Nord Europa è tutto diverso. Ci sono politiche a sostegno della genitorialità che noi ci sogniamo, ed è anche vero che i bambini vanno a dormire presto (e cenano prestissimo, rispetto perlomeno al Sud Italia), questo lascia molto tempo alle coppie per stare insieme.
Non sono del tutto d’accordo. Cioè nel senso che spesso qui in Italia aspettiamo che sia lo Stato ad aiutarci, quando potrebbe farlo una nonna, una zia, una amica, una babysitter per una serata. Non amiamo lasciare i nostri pargoli per curare la coppia, tutto qua. Asilo nido fin dalla culla, lavorare fino allo sfinimento, ma concedersi una serata a due sembra un tabù tutto italiano.
Sul fatto di andare a dormire tardi hai ragione e infatti basterebbe cambiare questo tipo di abitudine, che tra l’altro farebbe bene anche ai genitori; sembra quasi ovvio che i bambini debbano andare a dormire insieme ai genitori o mangiare per forza di cose insieme a loro, ma dove sta scritto? Che male fa se qualche volta loro vanno a dormire alle 21 e noi mangiamo in santa pace sul divano?
Io la penso esattamente all’opposto, per certi versi: in Italia non otteniamo grandi aiuti proprio perché c’è questo “stato sociale familiare” (nonni a tempo pieno, zie etc) che sopperisce, in un modo che personalmente trovo francamente insostenibile per tutti (nonni stessi, bambini, genitori e società). Ovviamente non mi riferisco alla serata fuori, ma alla gestione quotidiana dei bambini. E comunque non penso che una coppia si possa salvaguardare uscendo a cena fuori, fosse anche tutti i weekend… Sul resto, io posso dire che i miei figli vanno a dormire al massimo alle 21.15, e in tutta onestà non ho idea di come facciano a reggere i genitori dei bimbi che vanno a letto sempre tardi. Come coppie, ma anche come singoli.
No certo non basta, ma aiuta. Dalle mie parti si dice “piuttosto che niente, meglio piuttosto!”.
E neanche io non so come facciano, però da quello che ho capito anche i genitori vanno a dormire tardissimo, cosa che per me sarebbe impossibile, sarei un cadavere. E un cadavere con molta poca pazienza per giunta!!!