Da quando sono madre, non faccio che pensare – tra le altre centomila questioni inutili in cui spreco energie fisiche e nervose ogni santo giorno – a come sarebbe stato continuare a vivere senza diventare madre. Mi conosco abbastanza bene da sapere almeno una parte della risposta: se non avessi generato il mio primogenito, ora starei di certo a lambiccarmi il cervello domandandomi di continuo come sarebbe stato avere un figlio.
L’insoddisfazione e il dubbio (o, per dirla come preferisco, la permanente ricerca della felicità) sono parte di me, del mio modo di andare avanti e di affrontare scelte e cambiamenti.
Per tutta la mia esistenza adulta, le domande, specie quelle senza risposta, sono state il risvolto scottante della medaglia luminosa della mia libertà. Allora, ogni tanto, mi capita di chiedermi come doveva essere la vita di una donna nata qualche decennio fa. L’infanzia e la prima adolescenza trascorse ad imparare tutti i segreti di quella che all’epoca si chiamava economia domestica. La consapevolezza che il proprio destino si sarebbe compiuto, con estrema probabilità, nel ruolo di moglie, madre e casalinga (lo stesso ruolo assegnato dalla vita alla propria madre, alle nonne, alle eventuali sorelle). Un marito cui affidare le scelte importanti, silenzi ossequiosi e una sostanziale subordinazione al padre dei propri figli.
La certezza di non avere alternative. Un orizzonte limitato e immobile in cui immaginare il proprio avvenire e la propria realizzazione.
Una prospettiva agghiacciante, per me e per la maggior parte delle mie coeve. Una vita castrata e parziale. Una vita a metà. Però, e nel dirlo non voglio solo lanciare una provocazione, ma anche constatare quella che dal mio punto di vista è una scomoda verità, doveva essere anche, per certi versi, una vita più semplice.
Un’esistenza priva del peso quotidiano della scelta, alleggerita dal senso di responsabilità che grava su chiunque sia completamente padrone del proprio destino. Una vita in cui sbagliare, forse, era meno probabile e decisivo di quanto non lo sia adesso. Una vita esente dal dubbio di aver imboccato la strada sbagliata, dal momento che il sentiero percorribile, di fatto, era uno soltanto.
Una vita in cui, almeno per qualcuna, la realizzazione era lì, a portata di mano. In una casa con i ninnoli in bella vista e le tendine inamidate, in una serie di marmocchi in calzoncini e in un uomo “serio” al proprio fianco.
Non vorrei essere fraintesa. Non credo che baratterei mai la mia facoltà di scelta con una quotidianità più facile. Sono una che aborrisce anche il semplice pensiero di “dover” pranzare coi parenti la domenica, detesto la maggior parte degli obblighi sociali e dei “così si fa”. Difendo la mia autonomia al punto da sembrare spesso misantropa o superba.
Dico solo che la libertà può essere molto faticosa. La possibilità stessa di scegliere il proprio destino rende le nostre decisioni pesantissime. E i nostri sbagli spesso irreparabili.
A volte, quando la stanchezza si fa sentire più del solito, quando il dubbio è particolarmente lacerante, invidio la leggera semplicità con cui mia nonna è andata incontro al proprio destino. La capacità di accettare gli eventi come volontà di Dio. Di riuscire a desiderare con sincero fervore quello che altri – i genitori, la società, il proprio marito – avevano di fatto desiderato per lei.
Se si aprissero meno strade dinanzi ai miei piedi, forse, farei meno fatica a chiedermi quale sentiero imboccare. E passerei meno tempo a struggermi nel rimpianto di tutte le vite che non potrò più vivere.
10 Commenti
come ripeto sempre: “fossi nata con velleità da massaia, ora sì che sarei felice”
A chi lo dici! Sarei ancora più grassa, ma di certo più felice…
Mi fa pensare a mia mamma, che fin da piccola mi diceva “ai tempi miei non si poteva, ma oggi si può, e allora figlia mia, scegli per te!”. Ecco diciamo che lei non l’ha presa proprio per volontà di Dio…
Non so se oggi si possa realmente scegliere al 100%; certo, possiamo scegliere se essere madri o no, se condividere la vita con un compagno o no, se pranzare con i parenti la domenica o rivendicare il diritto ad un picnic nel parco… Ok, c’è molta più possibilità, è vero. Ma paradossalmente quando una le velleità da massaia le ha viene tacciata di essere “antica”, di non volersi realizzare, di non essere emancipata. E quante ne conosco che vorrebbero starsene a casa a fare la torta per i figli ed invece se ne stanno in ufficio dalla mattina alla sera per uno schifo di stipendio che serva a pagare il mutuo e la rata della macchina e le bollette e la spesa… Non lo so, se proprio possiamo scegliere…
Proprio ieri leggevo sul profilo Facebook di un’amica che ha appena partorito il secondo figlio: “Ho una marito e due figli che adoro, cosa può desiderare di più una donna?” Il tutto corredato da una faccina innamorata.
Ecco. Io l’avrei corredato da una faccina suicida O.o
Ma può essere che ancora siamo al punto di 50 anni fa? Perché ci sono donne fiere di essere madri (e in questo, per carità non c’è nulla di strano) e che sono convinte che solo così ci si possa realizzare?
Il dubbio che mi viene, in questi casi, è se il pensiero “fare la mamma è tutto quello che mi serve” non sia un tantino influenzato dal fatto che non si è mai usciti dal paese natale di tremila anime in cui si è cresciuti frequentando solo l’oratorio (perché era l’unica cosa che ci fosse), con una mamma che è stata mamma di quattro figli e non ha mai fatto altro.
Non so: forse se partissimo tutte pari, la biologia e l’istinto materno non sarebbero poi così preponderanti, in molte donne.
Spesso mi sento dire “hai un figlio, cosa vuoi di più?”.
Mah, non saprei ecco: un lavoro gratificante, una vita sociale più attiva di quella di un comodino, andare al cinema o a teatro una volta l’anno, poter fare una ceretta in pace, leggere due libri a settimana come facevo prima…
Non cambierei mio figlio con niente al mondo, ma questo non significa che per sentirmi soddisfatta e appagata dalla vita mi basti guardarlo mentre dorme.
Forse è vero che una volta era più semplice: non dovevi giustificarti di voler essere altro, oltre che mamma, e non dovevi giustificarti se volevi fare solo la mamma. Ma io una vita senza pormi domande non la tollererei.
Io penso che nessuno sia davvero libero. Non lo erano le nostre nonne, ma non lo siamo neanche noi. Per loro era scontato ambire solo a una realizzazione familiare e domestica, per noi è diventato “obbligatorio” desiderare anche un lavoro appagante, una vita sociale brillante, viaggi, cultura. Alla fine, e te lo dice una che viaggia dappertutto anche con figlio al seguito e legge ancora un libro a settimana, sono solo altre forme di schiavitù.
Così non ne usciamo più 🙂
Per me però non è obbligatorio ambire ad altro: è questione di sopravvivenza, tutto il giorno a casa col buffo non ce la faccio 😉
Ti propongo le parole (se già non le conosci) di Charlotte Bronte che nel 1847 scriveva in Jane Eyre:
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Sono passati 150 anni, ma le inquietudini dell’animo esistono ancora, sotto altre forme, ma nella stessa sostanza…
penso sia stata tagliata la citazione…
“Il riposo non fa gli uomini felici; occorre loro l’azione e se non possono esercitarla, la creano. Milioni e milioni sono condannati a una vita più tranquilla della mia e milioni si ribellano in silenzio alla loro sorte. Nessuno suppone quante rivolte, oltre quelle politiche, fermentino nella massa di esseri viventi, che popolano la terra. Si suppone che le donne sieno generalmente calme; ma le donne sentono come gli uomini, hanno bisogno, come essi, d’esercitare le loro qualità, occorre loro un campo più vasto per estrinsecarle. Sono ciechi gli uomini quando assicurano che le donne debbono limitarsi a far puddings,a far calze, a sonare
il pianoforte e a ricamare.”
Esatto, esatto 🙂
Adesso vado a fare l’istitutrice (“Il diavolo mi porti se non l’avevo dimenticata!” Cit.) in un castello sormontato da merli, poi mi farò sposare dal proprietario… ma prima vado un attimo di sopra a seccare la pazza, sennò sai che scocciatura, finire a vivere con un prete? 😀
Certo che, allora, non abbiamo fatto molta strada se già a metà ‘800 ci lamentavamo delle stesse cose di cui ci lamentiamo oggi 😉