C’è solo una cosa che si avvicina, in portata e tasso glicemico, alla retorica della maternità, ed è la retorica della nonnitudine. Sarà che questo mito del nonno italico serve in qualche modo a pulire le coscienze individuali (di figli ormai adulti che dipendono ancora dai propri genitori da un sacco di punti di vista) e collettive (l’Italia, a quanto pare, è una Repubblica fondata sui nonni), ma mi sembra che diventare nonni venga descritto quasi come un bagno nell’acqua di Lourdes, un’esperienza catartica che ti redime e ti trasforma, o addirittura ti santifica.
Sei stato per tutta la vita una persona gretta, meschina o superficiale? Niente paura, basta che uno qualsiasi dei tuoi figli si riproduca e tu ti trasformerai seduta stante nella più amabile e profonda delle creature. Sei sempre stato dotato di una limitata intelligenza emotiva, nonché di scarse doti di empatia e ascolto? Tutto risolto: procurati un nipote e ti trasformerai in una specie di Mary Poppins coi capelli bianchi (o tinti color Magalli, fa lo stesso). Sei noto in famiglia come un individuo non particolarmente brillante o creativo? Poco male: adesso che sei diventato nonno, Geppetto e Muciaccia dovranno temere la tua concorrenza. Sei stato un genitore di merda? Pacifico che ora sarai un avo anche più bravo di Nonna Pig.
Ma i nonni sono persone, non angeli, né divinità dell’Olimpo o personaggi dei cartoni animati. E non discuto che avere un nipote possa essere una esperienza così intensa ed emozionante da tirare fuori il meglio di una persona. O che possa essere vissuta da tanti come una specie di occasione di ravvedimento, come la “seconda possibilità” per amare un bambino e contribuire alla sua crescita con più consapevolezza e tempo libero, senza avere su di sé la pressione del lavoro, del ruolo educativo, delle incombenze quotidiane di una famiglia “giovane”. Ma un nonno resta pur sempre una persona. Provvista di certe attitudini, di talenti speciali e individuali inclinazioni. E ovviamente anche di difetti, nodi interiori mai risolti, piccole fobie, chiusure, egoismi veniali. Una persona vera, imperfetta, anche se ama tantissimo, a modo suo.
D’altro canto, pare che acquisire uno o più nipoti renda automaticamente un anziano (o un quasi anziano) una specie di mutante da cui ci si aspettano doti sovrumane di resistenza fisica, disponibilità economiche, flessibilità organizzative e risorse di problem solving. Sei un nonno? Allora puoi fare tutto, senza sforzi e “con tanto amore”. Incluso quello che risulta distruttivo o letteralmente impossibile finanche per dei genitori giovani e tonici. Incluso, se serve, farti carico del tutto o quasi della gestione quotidiana di tuo nipote, dai pasti ai compiti, dalle attività pomeridiane al tempo libero, dallo sport alla doccia. Salvo poi, magari, venire criticato quando non rispondi appieno alle aspettative dei genitori o colpevolizzato se a un certo punto tiri i remi in barca. O ancora, nei casi più deprimenti, abbandonato a te stesso quando i nipoti sono cresciuti e tu non sei più indispensabile.
Ma i nonni sono persone. Di solito anche in là con gli anni. Persone che, anche se amano i propri nipoti di un amore puro e viscerale, possono stancarsi, perdere la pazienza, trovarsi in difficoltà. Possono, banalmente, non avere per forza voglia di giocare alle fate o ai pirati. Possono sbagliare, soprattutto. Come sbagliavano quando erano i nostri genitori, come sbagliamo noi e come sbaglieranno i nostri figli quando toccherà a loro.
I nonni sono tutti nonni, e di solito amano i nipoti in un modo speciale. Ma possono essere presenti o indifferenti, discreti o invadenti, anaffettivi o teneri, generosi o egoisti, stimolanti o noiosi. Energici o affannati. Incoraggianti o deprimenti. Possono salvare o infierire, possono comprendere e possono fraintendere. I nonni non sono perfetti, ma sono umani. Non sono angeli, ma sono persone.